GIOVANNI MOSCA
Roma 14 luglio 1908 – Milano 26 ottobre 1983
Continuando la serie della riscoperta dei grandi autori italiani, se non proprio dimenticati, almeno accantonati, oggi mi sono svegliato con il desiderio di presentarvi o ricordarvi per chi già lo conoscesse, mediante qualche stralcio di suoi scritti, di un altro grande della letteratura umoristica e non, vignettista, caricaturista, direttore di giornali e giornalista affermato su varie testate compreso il Corriere della Sera, abile traduttore dal latino.
In questo caso ho tralasciato tutta la parte umoristica proponendovi solo il Mosca poetico, tenero, magari la prossima volta vi presenterò l’altra faccia del grande autore.
Niente a che vedere con i figli, pur bravi, ma, con tutto il rispetto, molto lontani dalla grandezza del padre.
Siete mai tornati, da grandi, nella vostra antica scuola elementare?
Io sì, la rividi, l'altr'anno, dopo tanto tempo, la scuola dov'ero stato prima alunno, e poi insegnante: la bibliotechina, il salone, i maestri...
La bibliotechina sempre la stessa, con gli stessi libri, con l'autore e il titolo scritti in bella calligrafia: "Ida Baccini – Tonino in calzoni lunghi", "Emma Perodi – Le novelle della Nonna", "Collodi nipote – Sussi e Biribissi", "Epaminonda Provaglio – Frullino, ovvero la Trottola meravigliosa".
Libri mai letti, sempre desiderati, ma venivano dati in lettura solo ai più bravi della classe, e io non ho mai potuto sapere chi fosse Frullino, e che cosa facesse con quella sua trottola meravigliosa.
Lo sapeva Marini, il mio compagno di banco, che aveva dieci in condotta e nove in profitto, e ogni settimana leggeva, per premio, un libro della bibbliotechina.
«Chi è Frullino?» gli domandavo.
«Che fa con la trottola meravigliosa?»
Ma chi ha dieci in condotta non parla mai con i compagni, e Marini non mi rispondeva: se insistevo, alzava la mano e m'accusava presso il maestro.
Oggi Marini fa il droghiere.
Qualche volta lo vado a trovare, mi riceve cordialmente, mi dà gratis un bicchiere di citrato o un po' di polpa di tamarindo, ma non mi dice niente di Frullino e della trottola meravigliosa: e adesso, non perché non me lo voglia dire, ma perché non se ne ricorda più.
I contenuti:
"Io vi parlo qui del tempo in cui, ragazzi, andavamo a scuola; del tempo che vorremmo tornasse, ma è impossibile.
Dei sogni, delle speranze che avevamo nel cuore; della nostra innocenza; delle lucciole che credevamo stelle perché piccolo piccolo era il nostro mondo, basso basso il nostro cielo.
Vi parlo delle stesse cose che voi ricordate, e se ve le siete scordate v'aiuto a ricordarle.
Di quelle cose perdute che voi ora ritrovate nei vostri figli e vorreste-tanto sono belle-che non le perdessero mai.”
"Che cos'è la menzogna? Che cos'è la verità? Siamo sicuri che sia sbagliato scrivere "Ottimo padre di famiglia" sulla tomba di chi batteva la moglie e appendeva i figli ai ganci?
Chi è cattivo? Chi è buono? (...)
Guarda i fiori di questa mia tomba e di quella vicina".
Simone guardò i fiori e vide che erano uguali: "Eppure nella mia giace un cattivo, nella vicina un buono.
Perché dai loro corpi nascono gli stessi fiori?
Perché dello stesso vivo colore e dello stesso gradevole profumo sono i fiori spuntati dalle mani che batterono la moglie e dalle mani che l'accarezzarono?
Io medito l'Inferno, tu pensi al Paradiso, dai nostri due cuori nasceranno le stesse violette."
dal libro "Non e ver che sia la morte"
Racconto - I colori dell’autunno
L'estate fresca e piovosa non ha ingiallito la campagna e le poche foglie appassite tendono, sugli orli, al rosso e al violetto.
Limpida l'aria, nitidi i colori: un autunno che sembra primavera.
Bianche nuvole corrono per il cielo luminoso, lungo le siepi ronzano ancora le api e fioriscono le rose selvatiche, ma all'orizzonte è in partenza una nera fila di uccelli fuggenti l'inverno in agguato.
La primavera non ha, nelle foglie, che un colore: il verde.
L'autunno, tranne il verde, li ha tutti vivi e caldi quasi dovessero durare chi sa quanto, e invece sono il breve riaccendersi dei colori dei fiori, il cui giallo, il cui rosso, il cui azzurro, il cui viola rivivono per qualche giorno nelle foglie moribonde.
Quegli alberi, in ottobre, d'un giallo accecante, sembrano una fiamma nel punto in cui s'accende.
Torni a vederli di lì a pochi giorni e non trovi che stecchiti legni neri, come una casa dopo l'incendio.
Che ve ne pare? Forse vi aspettavate cose più allegre?
La malinconia ha un suo valore importante almeno quanto la capacità di far sorridere la gente e Lui è stato capace di far ridere generazioni di lettori.
Pensate solo che I personaggi che sino ad ora vi ho illustrato, sia pure marginalmente, hanno quasi tutti collaborato insieme, da Guareschi a Campanile a Mosca a Leo Longanesi a Mino Maccari a Fellini e Flaiano.
Immaginate un attimo quanto si devono essere divertiti .
Per non lasciarvi con una sensazione d’inquietudine vi riporto delle frasi di Mino Maccari alcune delle quali sono diventate famose.
Inutile dire che Maccari è più famoso come pittore e caricaturista, ma anche come umorista si difendeva secondo me, giudicate voi.
- "Ho poche idee, ma confuse". (cit. in Ennio Flaiano, Diario notturno, 1956)
- Lo sport è l'unica cosa intelligente che possono fare gli imbecilli.
- Il male di moltissimi cattolici è che somigliano maledettamente ai protestanti.
- Per tutti i dentisti propongo la fucilazione.
- L'unico modo di incoraggiare l'arte è quello di scoraggiarla.
- Le macchine si perfezionano, e gli uomini rimbecilliscono.
- Ogni imbecille tollerato è un'arma regalata al nemico.
- Conosciuti bene i furbi ci si vanta di essere fessi.
- L'attività del cretino è molto più dannosa dell'ozio dell'intelligente.
- Largo ai giovani! Un bel complimento davvero! Largo si fa ai vecchi.
- Del successo occorre considerar la natura, non il rumore.
- Giovani non si nasce, si diventa.
- Faiblesse oblige
- La vita è segno.
- Un pugno d'uomini indecisi a tutto.
- Non sapendo dipingere, si valeva del suo colore politico.
- Non sappia la tua sinistra ciò che fa la mia destra.
- Non è onesto che tu sia così onesta con me.
- E fu così che io persi la sua verginità
- E lei, professore, mantenga le promosse!
- Epitaffio: "Nacque, nocque".
- Dopo aver trovato, è allora che bisogna cercare.
E per finire:
Caro Flaiano, giù le mani dai miei taccuini e dimentica il mio numero telefonico.
Se mi vuoi, scrivimi una lettera: il telefono non fa per noi: quel filo maledetto ci lega a una società che disprezziamo e che fa di tutto per ingrassarci nel lardo.
(Con irriverenza parlando)





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