Un dolore forte, sordo al centro del petto,neanche insopportabile ma di quelli che pare dicano da subito:” è inutile che aspetti,tanto non passo!!”.
Ho, come una sensazione di definitivo, anche se mi rifiuto di crederci.
Un altro dolore meno forte alla schiena e l’intorpidimento del braccio sinistro completano l’opera.
Poi l’ambulanza e di corsa sballottato letteralmente all’ospedale, dove niente è veramente reale per me, pur nella sua spiacevole concretezza.
Mia moglie di sfuggita, con un viso terrorizzato,ed intorno caos di persone che in quel momento ho pensato che dovevano essere dei fenomeni per riuscire ad essere anche efficienti in mezzo a quel casino.
E finalmente una ragazza giovane con due occhi vivi,consapevoli e che danno la sensazione di sapere quello che fanno.
E’ una dottoressa e mi dice che devo fare di corsa la coronarografia, così, se si riscontra quello che lei sospetta si può intervenire subito.
E da lì un altro viaggio nell’inconsapevole,sdraiato davanti ad un grande schermo dove si dovrebbero vedere le mie arterie e saperle riconoscere.
Mi infilano nell’inguine una cannula piccolissima che dovrà fare in seguito da guida per farsi una passeggiata all’interno delle mie arterie quasi sino al cuore.
In mezzo ad un dolore notevole,specie all’inizio ed alla fine dell’intervento,quello che riesco a capire è che hanno stappato due arterie e fatto “L’angioplastica coronarica” e che,secondo loro è andato tutto bene.
Chissà perché quando mi dicono così,mi viene sempre in mente la vecchia battuta:l’operazione è riuscita perfettamente ma il paziente è morto”?
E poi è anche interessante cogliere i nomi gentili e musicali che usano per definire operazioni,sia pure difficilissime,che per un profano potrebbero essere più adatte ad un idraulico che ad un medico.
E poi è anche interessante cogliere i nomi gentili e musicali che usano per definire operazioni,sia pure difficilissime,che per un profano potrebbero essere più adatte ad un idraulico che ad un medico.
Un volta richiuso tutto, mi mettono una compressione all’inguine sopra l’apertura dell’arteria che mi sembra un po’ troppo stretta ma io che ne so, specialmente in quel momento?
Poi di corsa il ricovero all’UTIC Unità Terapia Intensiva Cardiaca e subito una serie di aghi nelle vene,collegati a flebo e poi sensori in tutto il petto e la schiena,collegati ad un macchinario,tipo televisorino,che rileva in tempo reale, valori, ritmi e diagrammi sui quali si basa la differenza tra l’essere vivo o morto,insomma quelli che vediamo spessissimo nei telefilm in televisione.
E da lì in poi, non ho il tempo di annoiarmi,giorno e notte,perché non passa mezz’ora che qualcuno non mi stia o facendo domande o manipolando il corpo,con prelievi,misurazioni,auscultazioni,il che non sempre è piacevolissimo per chi sta male.
Ma sapranno quello che fanno e non sarò certo io a dargli problemi.
Tutto bene, salvo il fatto che nessuno si decide a dirmi,con precisione, cosa effettivamente ho avuto,fino a che non lo chiedo esplicitamente e con un espressione che non permette giri di parole.
INFARTO.
Passa ancora un po’ di tempo e mi accorgo che la prima sensazione di efficienza non è così reale,di tutti quei macchinari sofisticati su 8 ne funzionano spesso solo 2 o 3 anche di quelli semplici,specie i misuratori di pressione e finiscono per fregarseli l’uno con l’altro.
Di veri dottori ce ne sono 4 o 5, l’altra marea di camici bianchi sono studenti e comincio a non sentirmi più tanto sicuro.
Non vengono loro forniti gli aghi di misura appropriata per fare i prelievi e perciò ognuno di questi è un’ecatombe di grumi di sangue ,di lividi che ogni giorno diventano sempre più scuri ed hanno anche il coraggio di sostenere che è meglio così perché quelli piccoli si possono rompere.
Va bene che uno ha avuto l’infarto ma mica è scemo e , chiunque abbia fatto un po’ di analisi prima,sa bene che non è per niente vero.
Allora dicevo che i veri medici sono in tutto 4 o 5, e che dire dei primari?
Loro si concedono circa un’ora al giorno per tutti, con tutto il codazzo dietro che ricorda loro la situazione dei pazienti.
Salvo la settimana corta,perché il sabato e la domenica non si vedono,come se in quei giorni fosse vietato morire.
Se lo viene a sapere Bertinotti magari toglie loro anche il venerdì o forse no, perché non sono operai,magari fa lavorare loro tutti i giorni e tutto il giorno e migliora di conseguenza l’orario degli infermieri.
A proposito, non ho ancora affrontato per niente il problema e l’atteggiamento, appunto, dei paramedici.
Quello merita un capitolo a parte.
Formalmente tengono un comportamento molto professionale,salutando sempre e con una serie di risposte confezionate ripetute a pappagallo,che dovrebbero dimostrare quanto siano a ns. disposizione totalmente. Ma sono persone ed hanno espressioni,sguardi , qualche volta scatti di ira e spesso comportamenti, che rivelano i loro veri sentimenti.
Non ne possono più, salvo pochissime eccezioni,di fare quel lavoro e dei malati.
Quello che mi chiedo è chi gli ha ordinato di farlo?
Chi sceglie quel tipo di professione credo che certe cose se le dovrebbe aspettare.
Ma tutto questo è colore locale e forse anche abbastanza scontato,specialmente per chi, al contrario di me, abbia già avuto esperienze simili.
Che non fossi invulnerabile,già lo sapevo,ma constatarlo praticamente,così all’improvviso non è piacevolissimo.
In nessun momento di tutta l’avventura ho veramente avuto paura di morire,un po’ perché non ho neanche pensato che veramente potesse succedere,un po’ perché non è quella la cosa che temo di più.
L'infarto è una necrosi. Non lo sapevo.
Perciò quando si usano frasi come: mi ha spezzato il cuore o ho il cuore in pezzi, sono solo immagini romantiche.
Concretamente, una parte del cuore non riceve più sufficientemente sangue o ossigeno e muore definitivamente e la cosa è irreversibile.
Se questa parte è relativamente piccola,dopo il giusto riposo e naturalmente giuste cure, quello che resta può sopperire alle funzioni di quella mancante e permettere una vita normale senza particolari impedimenti,almeno così dicono i medici e si è portati a crederci, perché la speranza è sempre l'ultima a morire.
In pratica si può senz'altro dire che una parte di me è morta ma che il resto non ci pensa per niente a seguirla.
Alla faccia di qualcuno che alle volte potrebbe aver pensato che ero senza cuore.
Ora il problema è capire cosa succederà da adesso in poi.
Ma forse, neanche quello,forse lo scoprirò giorno per giorno e qualsiasi cosa succeda, dovrò trovare il modo di adattarmi.
Spero di esserne capace.
In certi ambienti,si diceva che un uomo non può considerarsi veramente tale se non è stato almeno una volta in galera.
A parte la discutibilità di questa affermazione,che non mi sentirei per niente di sottoscrivere,credo che lo stesso si possa dire riferito all'infarto,specie se si ha la fortuna che non sia stato definitivo.
Un lato romantico ce l'ha, è una malattia più che dignitosa,sia quando è lieve che quando è mortale.
Chi di noi,prima o poi non ha detto che gli sarebbe piaciuto morire di colpo?
Prende il cuore che è la parte più sparlata e spesso sopravvalutata del nostro corpo,sul quale ci si è sbizzarriti in tutti i modi,lasciandoci andare a fantasie romantiche, spesso molto lontane dalla cruda realtà scientifica,ancora più del cervello,anche perché approfondire su quell'argomento è parecchio più difficile.
Anche i motivi che lo provocano,nell'immaginario popolare,sono dignitosi,spesso virili,lo stress,le preoccupazioni,il super lavoro, ma anche il fumo,una dieta sbagliata,una vita sedentaria per costrizione.
Insomma il cancro è squallido,l'infarto è nobile.
Questo non vuol dire che non ne avrei fatto volentieri a meno o che mi voglia per forza consolare di una cosa che ormai è avvenuta e perciò meglio accettarla e meglio ancora valorizzarla.
Fatto sta che, normalmente, viene a gente piena di vita che non si risparmia sia da un punto di vista fisico che psicologico e questo,anche se magari non sarà vero al cento per cento, un po’ gratifica.
In quanto alla morte,devo dire che non mi spaventa,anzi mi incuriosisce,in quanto è l’unico vero mistero rimasto che riguarda la vita umana e che non si sia riuscito a definire con certezza.
Cosa succede proprio nell’atto del trapasso e soprattutto dopo,non lo sa nessuno con certezza. Esistono solo convinzioni ed opinioni dettate dalla fede o dalla sua mancanza.
Magari finisce tutto lì,oppure comincia un’altra vita,collegata o no in qualche modo alla precedente i cui termini e limiti possono solo essere immaginati,spesso sperati.
Forse è una vita solo spirituale e non fisica oppure tutto il contrario ed in quest’ultimo caso sarei molto deluso se non mi venissero assegnate un certo consistente numero di giovani vergini disponibili.
Visto che io sono sempre eccessivo, alla data in cui ho scritto questa cosa ero già stato operato di cancro e, malgrado mi sforzi, mi riesce difficile il tentativo di nobilitare anche questa malattia.
Quello che conta veramente però è che oggi sono in grado ancora di raccontarlo e questo, vista la situazione, non è poco.
In quanto alle Urì,mi sa che mi conviene aspettare ancora un po’,sia perché gli impegni terreni ancora mi assorbono totalmente e anche piacevolmente, sia perché per affrontare un compito di quel tipo bisogna arrivare in piena forma e penso che ci vorrà ancora molto tempo.



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