domenica 10 aprile 2011

UNA LUNGA STORIA CAPITOLO 5


 UNA LUNGA STORIA CAPITOLO 5
La nostra vita è stata caratterizzata da tanto, tantissimo lavoro da parte di entrambi, ma anche scandita dal mese di vacanza annuale, comunemente in Agosto, al quale non abbiamo mai rinunciato per nessuna ragione, anche quando non ce lo saremmo potuto permettere economicamente. Si rinunciava a qualcosa d’altro, si facevano dei sacrifici, ma la vacanza era sacra, anche perché l’abbiamo, entrambi, sempre considerata come una vita a parte, diversa da quella di tutti i giorni. Come vivere ogni volta una storia nuova, l’impressione abbastanza concreta, di rinnovare ogni anno il nostro rapporto.
Considerando che, insieme, abbiamo cominciato nel 1969, quando ancora non eravamo sposati, quest’anno saranno quarantadue mesi trascorsi ventiquattro ore il giorno insieme, sempre al mare, di cui entrambi siamo innamorati e che potrebbero, da soli, costituire una parte decisiva della nostra vita, volendoli raccontare dettagliatamente, anche prescindendo dagli altri avvenimenti.
Per non parlare di qualche vacanza invernale (più breve), di solito, indovinate dove?..... al mare, che ogni tanto siamo riusciti a permetterci.
Ce ne sono state di più o meno belle e divertenti, ma, quasi tutte, giustificavano il resto dell’anno e  sono state, anche se non solo, il premio, di cui sentivamo di avere diritto, per aver risolto le difficoltà che mano, mano si sono presentate, ma anche l’unico periodo dell’anno in cui potevamo dimenticare problemi, preoccupazioni, doveri e impegni.
Con questo non voglio dire che siano state le uniche cose gratificanti della nostra vita, al contrario, ma certamente costituiscono una parte, anche temporalmente, alla quale, per noi, sarebbe stato difficile rinunciare.
Estremizzando, un mese l’anno avrebbe potuto giustificare gli altri undici, anche se non è così, perché non sarebbe giusto verso il resto della nostra vita, che non è stata brutta, anzi la maggior parte, magari in mezzo a tante difficoltà, è stata piena e meritevole di essere vissuta.
Se si considera che, normalmente, in una coppia, almeno uno dei due lavora e nel nostro caso abbiamo sempre lavorato entrambi, nella migliore delle ipotesi, durante l’anno, potevamo condividere di solito cinque, forse sei ore il giorno, più la notte e più i festivi, neanche tutti i giorni perché con il mio lavoro ogni tanto poteva capitare che viaggiassi.
In vacanza trascorrevamo e trascorriamo ancora, ventiquattro ore il giorno insieme, e perciò si può dedurre che un giorno di vacanza, considerando che almeno quasi tutte le notti le abbiamo sempre dormite insieme comunque, ne vale quasi tre degli altri.
Se la matematica non è un’opinione quarantadue anni per trentuno giorni fanno milletrecentodue giorni; calcolando approssimativamente che valgano tre volte quelli lavorativi, si potrebbe sostenere che è come se avessimo trascorso 3906 giorni normali in vacanza, che sono equivalenti a oltre dieci anni.
Non male… vi pare?
Si vivono ma raramente ci si ferma ad analizzarle. Una vacanza è una vacanza, ma concretamente è anche una fetta molto importante della nostra vita anche temporale.
La prima che ricordi fu nel 1969, insieme a mamma e Daniele, dividendo in parti uguali le spese e fu la prima volta che vedemmo l’Isola d’Elba e se si dice che la prima volta non si scorda mai, per noi fu veramente così, si trattò di un vero e proprio amore a prima vista. Ce la consigliò un mio cugino che, all’epoca, aveva da poco comprato una casetta in un paesino dell’Isola e ce la decantava come un Paradiso Terrestre.
Affittammo una casa in alto, sopra la baia di Patresi da un certo Miraldo, proprietario del chiosco-bar sul mare e che, credo, affittò solo quell’anno, perché dopo, con tutti i soldi che deve aver  fatto, non ne ha avuto più bisogno.
  
Ricordo l’effetto che ci fece la vista di Patresi dall’alto, la prima volta, mentre scendevamo lungo i tornanti, il faro, i colori dell’acqua, la scogliera, erano qualcosa che noi immaginavamo si potesse vedere solo nei mari tanto decantati della Polinesia o dei Caraibi.
Come contraltare potemmo verificare quanto fosse difficile e disorganizzato il viaggio, soprattutto l’imbarco sul traghetto e se penso a come funziona bene adesso, in oltre quaranta anni hanno fatto passi da gigante.
Per quanto riguarda gli isolani, avendo una provenienza contadina molto più che marinara, all’epoca, erano parecchio scostanti e maleducati, malgrado fossimo lì a portargli un guadagno e con gli anni sono un po’ migliorati, ma non abbastanza da definirli accoglienti.
In quell’occasione mamma si portò anche il gatto Pippo, classico gattone romano nero con il “capoccione”, che, pur essendo abituato fuori di casa e a Roma, dove i gatti o si sanno far rispettare o durano poco, con il cambiamento di ambiente passò all’inizio qualche brutto quarto d’ora, tanto, che essendo sparito, dopo averlo cercato a lungo, lo ritrovammo nascosto sotto una pianta di fichi d’india e dovemmo portarlo a casa e togliergli una cinquantina di spine dal pelo che lo facevano sembrare più un istrice che un gatto.
Ma lo spavento e il disorientamento, durò poco perché, nel giro di una settimana, era diventato, comprensibilmente, il boss della zona, valutando, oltre al carattere, anche la differenza di mole con i gatti elbani, che sono sempre stati piccoli e denutriti e lo sono ancora, anche se adesso qualcuno che si commuove e dà loro qualcosa da mangiare comincia ad esserci, infatti, sembrerà impossibile, ma  dopo quarant’anni la civiltà è arrivata anche lì.
Pippo si acclimatò benissimo e passò un mese perfettamente a suo agio, fino al punto che ci portava le sue fidanzate, spesso diverse, a casa per farle mangiare e per farcele conoscere, comportandosi da perfetto “gentiluomo” come si conviene a un gatto di buona famiglia, ma sopratutto con i suoi trascorsi.
Quel mese andammo alla scoperta dell’Isola, anche se ne vedemmo solo una piccola parte perché tutta, era davvero impossibile in così poco tempo, se considerate che, dopo tanti anni, ancora oggi, riusciamo a scoprire qualche posto che non abbiamo mai visto, ma conoscemmo luoghi che in seguito per noi divennero familiari, S. Andrea, Pomonte, Chiessi, Fetovaia, Cavoli e molti altri, ma anche paesini in collina come Marciana o Poggio.

Quei due paesi a mezza costa, tutti in salita, sotto il monte Capanne che è alto più di 900 metri, avevano l’aspetto di presepi che specialmente la sera, con le luci, producevano un effetto irreale e un po’ fiabesco ed ebbero, all’epoca, grande successo perché, all’interno non ci potevano passare le automobili e permettevano perciò alle famiglie di lasciare liberi i bambini anche piccoli, con conseguente alleggerimento del lavoro per le mamme.
La sensazione che ricavammo arrivando da Roma, sbarcati dal traghetto a Portoferraio e percorsi una ventina di chilometri di panoramica a picco sul mare, che avrebbero richiesto di fermarsi a ogni angolo per godersi gli incantevoli scorci di mare, è d’incredulità, che potessero esistere posti così belli, tutti insieme.

Questo sino a che non si supera Marciana Marina e si comincia a salire verso la montagna e Marciana Superiore, perché a quel punto trovandosi ad attraversare un bosco con alberi di alto fusto, attraverso i quali non passa la luce del sole, ti sembra di essere in Trentino e non basta l’incredulità, giacché, nonostante l’evidenza, sei certo che sia impossibile che possa esistere un posto così, a un passo dal mare. 
A Marciana c’era la casa di mio cugino che frequentammo un po’ durante il mese, anche se, pur essendo cugini carnali, in sostanza non ci conoscevamo, essendoci frequentati pochissimo.
Inoltre, non è che fosse particolarmente piacevole come compagnia perché, pur comportandosi molto cortesemente, in certi casi anche troppo formalmente, aveva, anche se allora, solo in embrione, un carattere non tanto gradevole, dotato com’era di una grande presunzione e per di più era anche comunista e di quelli arrabbiati, ma niente che possa lontanamente avvicinarsi a com’è adesso. Solo un accenno di lui.
Mi chiedo cosa ho fatto di male per avere la maggior parte dei parenti comunisti accesi, per fortuna non mi risulta che siano anche laziali, se no mi sarei visto costretto a cambiare cognome o a rinnegare la famiglia.
Preciso che l’ironia è, a mio avviso, una grande qualità, se è fatta bene e se si è capaci di farla comprendere, se invece non si possiede questa qualità, due sono le cose: o si continua imperterriti a ironizzare sulle persone o sugli argomenti, se si ritiene opportuno, oppure ci si rassegna e farne a meno con grave nocumento del proprio spirito.
Siccome al mio spirito tengo molto, pur non essendo certo di essere completamente compreso, nei casi in cui scherzo, continuo imperterrito, perché preferisco subire le eventuali reazioni negative, o dei giudizi poco lusinghieri, che privarmi di un piacere dell’anima e del cervello inestimabile per me.
E magari, continuando a fare allenamento, ho sempre una possibilità di imparare o almeno di migliorare.
La convivenza tra di noi, fu abbastanza piacevole, perché Daniele aveva un anno buono e mamma, anche se ci impediva di dormire insieme perché non eravamo sposati, tutto sommato, ci lasciava abbastanza in pace e liberi di fare i nostri giri.
Quelli erano luoghi che, se volevamo stare soli e dare sfogo ai nostri desideri, non c’era bisogno di dormire insieme, perché il posto si trovava, specialmente in quell’epoca in cui non si correvano rischi di altro genere.
Così il nostro primo approccio con l’Isola d’Elba fu molto bello tanto da spingerci a tornarci credo per una trentina di anni anche se non continuativi.
Non c’è dubbio che è il posto che abbiamo frequentato di più e che perciò conosciamo meglio e dovendo pensare a un luogo al quale siamo fortemente legati al di fuori di Roma, possiamo considerare tale, solo l’Elba.
Quell’anno frequentammo soprattutto Patresi che, oltre ad avere un’acqua limpidissima, era anche comoda e vicina a casa. Era una baia con ai due lati una scogliera molto frastagliata e colorata e al centro una spiaggia di sassi  di varie misure e una zona di approdo in cemento, l’unica cosa che, pur essendo comoda, stonasse con tutto il resto.
Superata una delle due punte c’era una piccola insenatura con l’acqua profondissima e la scogliera a picco che era chiamata “Il Pozzale” che raggiungevamo a nuoto per fare i tuffi e per guardare i ragazzi che si esibivano da altezze notevoli.
Ogni tanto uscivamo con la barchetta di qualche conoscente, in esplorazione perché lì ogni nuovo angolo era diverso e una scoperta per chi  lo vedeva per la prima volta.
Ricordo come fosse oggi, un pomeriggio nel quale tutti vestiti andammo con Rita a fare una passeggiata avventurandoci per la campagna in luoghi dove non eravamo mai andati prima.
Scendemmo a piedi dalla zona dove abitavamo verso il mare, senza seguire un sentiero ma cercando di attraversare nei punti meno difficili o scoscesi, pur tendendo sempre a scendere, perché l’acqua, dall’alto, appariva piuttosto lontana.
Attraversammo zone piene di sterpi e punti accidentati, notando coltivazioni di vari tipi tra cui arnie piene di api e dopo poco più di mezz’ora di cammino, all’improvviso, nascosta da una vegetazione piuttosto fitta di alberi, ci trovammo di fronte  a una baia di una bellezza indescrivibile e per di più….al tramonto.

Era enorme, con rocce bianche levigate che le facevano da corona e una serie di alberi e piante più basse tutte intorno, a contatto con gli scogli, come se qualcuno l’avesse voluta nascondere agli sguardi da terra e donarla solo al mare.
L’acqua era trasparente e a quell’ora ci sembrò irreale. Era calmissima e non c’era nessuno.
Di colpo, non potemmo resistere, senza consultarci, con Rita iniziammo a spogliarci pur non essendo attrezzati per il mare e ci infilammo in acqua, che oltretutto era anche tiepida e gradevolissima, alla maniera di due che in un deserto trovano un’oasi.
Ogni tanto i miracoli avvengono, perché secondo me,  questi sono i veri fatti eccezionali della vita, se si considera che a completamento c’era un tramonto di fronte a noi che faceva vedere nitidamente il profilo dell’isola di Capraia e della Corsica con il sole alle spalle.
Lo ricordo come uno dei più bei bagni di mare che ho fatto nella mia vita e ne ho fatti tantissimi.
Quel posto da favola ha un nome, che magari non sarà bellissimo né evocativo di quello che ci ha donato come sensazioni, però è il suo e ci piace per questo: LA COTACCIA.





Nel ’70, con mamma e Daniele andammo a Porto S. Stefano. Affittammo una casa nel paese,che costava poco, caratteristica ma con un accesso un po’ difficile con parecchie scale da fare, ma all’epoca non potevamo permetterci molto di più e  ci sarebbe stata bene qualsiasi sistemazione.
Daniele c’era, ma era come se non ci fosse, giacché non stava mai con noi, né la mattina al mare, né la sera.
Lo vedevamo solo durante i pasti e questo creò qualche piccolo attrito tra mamma e Rita che cercava, senza minimamente riuscire, di coinvolgerlo nella nostra vita, dandogli anche qualche piccolo compito che, naturalmente, lui non prendeva neanche in considerazione. Come parlare al vento.
Mamma era sessuofobica anche allora e non poteva neanche lontanamente tollerare che due non sposati dormissero insieme e perciò vivevamo da separati in casa, Rita in una stanza con mamma ed io in un’altra con Daniele, proprio come all’Elba, il che era abbastanza ridicolo, perché andavamo a letto insieme già da quasi tre anni.
Comunque il posto era molto bello, non al livello dell’Elba, ma sufficientemente gradevole e, considerando che quell’anno mamma si era dimagrita moltissimi chili e aveva ancora un’età che glielo permetteva (47 anni), ci stava dietro nelle nostre molteplici escursioni.
S. Stefano, per chi non lo conosce, fa parte del promontorio dell’Argentario nel quale, a parte qualche spiaggia nel paese o ai confini, dove noi ci schifavamo di andare, sia per la folla che la frequentava, che per la pulizia dell’acqua, per il resto è interamente montagnoso ed a picco sul mare con le strade che scendevano, quasi tutte private e inaccessibili.
Non restava che, o percorrere molti chilometri per trovare un accesso, o avventurarsi a scendere lungo delle rocce a strapiombo sul mare, che per me e per Rita, specie a quell’età, era fattibile, anche se con difficoltà, ma non avremmo mai immaginato che lo fosse anche per  mamma e invece non solo lo fece, ma senza particolari difficoltà.
Così scoprimmo che oltre ad essere una casalinga, ad avere il carattere che aveva, era pure portata per diventare una provetta rocciatrice, perché la vita qualche sorpresa te la deve sempre riservare e finché sono queste, direi che sono anche piacevoli.
All’epoca non avevamo la possibilità economica di affittare una barca a motore e perciò per godere i punti più belli del promontorio, l’unico modo era quello.
Per renderci la vita ancora più “ facile”, comprai un gommoncino a remi, piccolo, gonfiabile, di quelli che adesso schiferebbero pure i bambini, per  aver una certa libertà di movimento in acqua, considerando che in particolare mamma non era una provetta nuotatrice e Rita stava cominciando a nuotare meglio proprio allora, seguendo le mie indicazioni e mettendoci tanta buona volontà, ma questo per il momento tralasciamolo, perché meriterebbe un capitolo a parte.
Perciò, nella discesa a mare, dovevamo portare dietro anche il gommone che poi, raggiunto il punto che volevamo, andava gonfiato e messo in acqua.
Individuato il punto che più ci incuriosiva, lasciai la macchina parcheggiata lungo la panoramica dove sotto si vedeva una caletta deserta che dall’alto aveva un aspetto veramente invitante, con un mare piatto e dei colori incantevoli e cominciammo la discesa.
Io andavo avanti aprendo la strada, un po’ per saggiare il terreno, un po’ per fare da scudo  qualora una delle due fosse scivolata, ero pronto a prenderla al volo o almeno, ripensandoci, mi illudevo di essere in grado considerando che la discesa era notevolmente ripida.
Ci volle un po’, ma alla fine arrivammo tutti sani e ci sistemammo su quella caletta di sassolini tondi e piccoli che non facevano male ai piedi e che erano meglio della sabbia perché non si attaccavano addosso e perché non intorbidivano l’acqua, che era limpidissima, da bere.

Gonfiammo il canotto e restammo lì alcune ore, sognando di stare in paradiso, facemmo i nostri bagni e prendemmo il sole, ma quando si trattò di andare via, decidemmo che, per evitare la scalata a mamma, si poteva andare con il canotto fino alla prima cala accessibile che a occhio e croce distava un paio di chilometri via mare, pensando di avere tutto il tempo essendo ancora primo pomeriggio.
Ci rendemmo conto però che la macchina stava sopra di noi e che come strada, essendo tutta curve,fatta a piedi, era molto lontana dal posto dove saremmo attraccati, così si decise che io avrei fatto la scalata, perché l’unico in grado di guidare, mentre Rita e mamma sarebbero andate con il gommone alla Cala, che, a proposito, si chiamava Le Cannelle e che aveva davanti a sé l’Isola Rossa,  proprio lungo la rotta che avremmo dovuto tenere per approdare e dove le sarei andate a prendere.
Così, cominciai a salire senza particolari preoccupazioni, beata incoscienza, poiché nel giro di pochi minuti cominciò ad alzarsi un vento di maestrale piuttosto forte ed ad ingrossarsi a poco a poco, ma costantemente, il mare, quando, nel  frattempo, le due femminucce si erano già allontanate sul gommone.
Per chi non lo sapesse, un gommone di quel tipo, specie spinto da pagaie di plastica, cammina comunque poco in qualsiasi condizione, ma nel caso in cui abbia mare e vento contro, normalmente, è veramente fermo e qui c’è da far notare quanto fosse forte e resistente Rita all’epoca che, nonostante tutto, riusciva a farlo andare avanti, anche se abbastanza spaventata, perché vedeva che il mare continuava ad aumentare e non si sapeva sino a che punto sarebbe arrivato.
Un po’ per quello che vedevo un po’ per quanto mi ha raccontato Rita, pare che mamma, invece non desse segni di allarme, fosse tranquillissima, serena e non dimostrasse alcun sintomo di preoccupazione, godendosi placidamente la traversata.
Nel frattempo, correndo come un matto ero arrivato a Le Cannelle, avevo parcheggiato e mettendo le chiavi della macchina nello slip, mi ero tuffato in acqua per raggiungerle a nuoto, cosa che feci abbastanza presto perché Rita si era avvicinata tanto.
Insomma finì tutto benissimo e quello che mi è rimasto di quell’avventura sono, la magnifica giornata al mare, ma anche il grandissimo spavento che prendemmo sia io sia Rita, con mamma sempre più imperturbabile (o incosciente). La gran fatica che facemmo, in particolare Rita, perché anche se io avevo venticinque anni e lei ventidue, lo sforzo fu notevole e molto concentrato in un tempo relativamente breve, ma soprattutto l’incomprensibile imprudenza, visto che non ha mai fatto parte delle nostre abitudini, né prima né dopo.
Come si dice? La botta del cretino prima o poi viene a tutti.
Per essere più chiaro sul tipo di fatica, pagaiare su un canotto contro corrente e controvento, vuol dire non fermarsi neanche un attimo perché, appena rallenti un po’, torni indietro e ti rimangi tutto il tratto fatto con tanto impegno ed in quel caso lei fu bravissima oltre che forte, ma devo dire che spesso la “fifa” triplica le energie.
Da quella volta andammo più spesso a Le Cannelle, dove si stava piuttosto bene, anche se era un po’ troppo affollato e l’esperienza della discesa a mare la ripetemmo Rita e io da soli, magari con più cautele, ma  solo poche altre volte.
La sera, dopo cena in genere si andava al porto a prendere un gelato e a guardare le barche attraccate che erano molte, alcune molto belle.
Ricordo che c’era uno yacht  che, come seppi dopo, veniva tutti gli anni, che a ferragosto illuminava tutta la sua nave e pagava i fuochi artificiali. Era uno spettacolo molto piacevole e noi all’epoca ci accontentavamo di poco per essere contenti.
Quando riuscivamo con Rita a trovare anche un nostro spazio privato per stare soli, considerando tutto il resto, per noi era una bella vacanza.
Insomma tutto bene salvo quei momenti in cui ci sentivamo veramente come nella canzone “Io mammeta e tu”, che però siamo riusciti ben presto a schivare, penso anche con la comprensione implicita di mamma, che ufficialmente non poteva approvare, ma che, come direbbe qualche magistrato oggi: ”Non poteva non sapere”.
D’altronde non perdevamo occasione di farglielo sotto il naso, appena si distraeva un momento, tanto che alla fine la cosa era diventata talmente stuzzicante che se  lo avessimo dovuto fare senza nessun rischio di essere scoperti, sono convinto che ci sarebbe piaciuto di meno. 
Tanto per far capire quali fossero i rapporti e le condizioni all’epoca, le spese della vacanza erano tutte rigorosamente divise a metà, per quello che riguardava l’affitto della casa ed il mangiare anche perché da soli non avremmo potuto sostenerle.
Certo non avrei mai fatto pagare la benzina della macchina o il gelato al bar a mia madre ma a parte quello, il resto era tutto diviso. Bisogna tenere presente che io avevo appena iniziato a lavorare e lei viveva con l’assegno di babbo e un po’ di ricavi del negozio.
Questo per inserire il racconto nel periodo storico e far capire il tipo di vita, che faceva parte della normalità, dell’epoca.
Quello che è certo è che mamma tornò da quella vacanza come non l’avevo mai vista né prima né dopo, magra, tonica e abbronzatissima, sicuramente lei, che nella vita non ci ha mai veramente tenuto troppo all’aspetto fisico, dimostrava dieci anni di meno.
Noi due piuttosto soddisfatti e carichi abbastanza da affrontare l’anno di lavoro che ci aspettava.
Nel 1971 fu ripetuta la stessa esperienza, visto che era andata bene la prima, perché non  rifarla?
L’appartamento che affittammo non era lo stesso, non era nel centro del paese ma era più comodo e gradevole anche perché provvisto di giardinetto che in certe ore del giorno risultava piacevole per tutti, specie nel pomeriggio, stanchi dalla giornata di mare, prima di cena.
I posti che frequentavamo erano sempre quelli dell’anno prima, con mamma che ci seguiva un po’ meno nelle nostre escursioni, ma che veniva sempre con noi quando andavamo alle Cannelle o in altri posti dove l’accesso fosse facile, tipo alcuni posti di Porto Ercole che era l’altro paese dell’Argentario, un po’ meno bello, secondo noi, ed anche meno montuoso e meno verde, essendo sul lato sud del promontorio.
Trovavamo lo stesso il modo di stare bene anche lì. Ricordo che c’era un punto con una spiaggia abbastanza grande che aveva un’isola di fronte, grande e  non vicinissima.
Ci piaceva, quando andavamo, fare la traversata a nuoto per raggiungere l’isola e, trovato un approdo, restare lì per un po’ a riposarci, a prendere il sole e a ispezionarla camminando sugli scogli e aspettandoci qualche sorpresa ad ogni angolo che impediva la visuale del resto. Nella realtà grandi sorprese non ce n’erano, ma a noi la sensazione di esplorare un posto per la prima volta risultava piacevole ed emozionante.
Questa è una cosa ricorrente in tutti i luoghi dove siamo andati, era ed è probabilmente, la sindrome del giovane esploratore, pur sapendo che, essendo quasi sempre andati in posti civilizzati e frequentati, grandi sorprese non ne avremmo  mai potute trovare.
La scoperta di una piccola grotta o di un punto particolare sugli scogli, molto bello ma poco frequentato, in genere perché molto scomodo da raggiungere, pur sapendo che, sicuramente, non eravamo i primi a visitarlo, ci dava una sensazione che fosse  tutto per noi.
Poi ci fu una gita in traghetto all’Isola del Giglio che distava pochissimo da S. Stefano e che ci incuriosiva, non conoscendola.
L’isola in sé pur avendo dei posti belli come d’altronde tutte le isole, non ci impressionò più di tanto perché abbastanza brulla e con una natura non particolarmente spettacolare, perché, anche nei punti più belli, si era costruito un po’ troppo secondo i nostri gusti.
Probabilmente il giudizio era condizionato dal fatto che durante una gita dalla mattina alla sera e stando a piedi, non siamo riusciti a scoprirne le virtù più nascoste, come normalmente facevamo in tutti i posti dove andavamo.
Mi faceva l’effetto di spogliare molto lentamente una bella donna, ma con il Giglio non arrivai neanche a togliergli la blusa, almeno in quell’occasione.
Stando lì, per un caso fortuito venimmo a conoscenza di una pensione albergo molto familiare che non aveva una strada di accesso ma si poteva raggiungere solo dal mare, posta in cima ad una collina piuttosto alta in mezzo al verde, alla fine di qualche migliaio di scalini da fare per raggiungerla.
Malgrado le scontate difficoltà, ci interessò e affascinò al punto che negli anni successivi ci facemmo una bella vacanza e anche qualche fine settimana lungo.
La sera, dopo cena, c’era la solita tradizione del gelato e delle gelaterie delle quali mamma, essendo molto golosa, era diventata esperta e dopo averle provate, nel tempo, tutte, aveva deciso quale era la migliore, della quale, naturalmente, ormai eravamo diventati habitué.
Quanto ai nostri rapporti, erano abbastanza tranquilli, senza particolari attriti, Rita andava d’accordo con mamma e, avendo già iniziato a lavorare con lei, aveva anche acquisito una familiarità, una confidenza e anche un rapporto affettivo, che rasserenava l’atmosfera.
Anch’io, forse perché eravamo in vacanza, non avevo particolari motivi di attrito con mamma, cosa abbastanza rara e impensabile visti i nostri precedenti. Di Daniele, sinceramente non ricordo neanche se ci fosse e questo mi farebbe pensare che non doveva esserci, visto che non era personaggio tale da passare inosservato, ma forse è solo un mio vuoto di memoria.
Insomma soddisfatti i nostri appetiti da tutti i punti di vista, compreso quello sessuale tra Rita e me, sembravamo tutti sufficientemente appagati da sostenere, senza ombra di smentita, che anche quell’anno la vacanza era stata ottima.
Nel 1972 sentivamo tutti il desiderio di cambiare ed esplorare nuovi lidi, soprattutto Rita ed io, perché mamma si accodava abbastanza e Daniele, magari protestava, ma andava dove andava mamma.
Così, senza conoscere niente, decidemmo di andare alla scoperta della Sardegna la terra dei miei avi. Attraverso il telefono trovai una casa in affitto in un posto a nord che si chiamava Isola Rossa e quell’anno, stranamente, prendemmo le ferie in Luglio.
All’epoca anche il viaggio era un’avventura perché, per avere il biglietto del traghetto, bisognava fare notevoli file, ma all’ultimo riuscii ad avere anche la cabina, sulla nave delle Ferrovie che faceva la rotta Civitavecchia - Golfo Aranci.
Avevamo affittato l’appartamento per un mese ma io, per lavoro, ero impegnato nella prima settimana e perciò mamma e Daniele partirono prima, Rita ed io, in seguito, da soli.
L’arrivo all’alba a Golfo Aranci non lo dimenticherò mai per il resto della mia vita, la luce del sole, bassa all’orizzonte, accarezzava l’acqua del mare calmissima, quasi stagnante e disegnava tutti i profili delle colline intorno, dando la sensazione che tutto ancora dormisse e fosse sul punto di svegliarsi, proprio come il dormiveglia che ci si concede la mattina dopo il suono della sveglia, i colori tenui, violacei, innaturali, come se niente fosse vero, come se l’immaginazione di un grande pittore ci avesse regalato e fermato nel tempo un impressione di paradiso, di serenità e di bellezza che concretamente dura poco più di mezzora e perciò impossibile da fermare per poterne godere totalmente.
Non facemmo in tempo a dire, bellissimo, che già era finita. In quella mezz’ora ci sentimmo quasi sospesi, ipnotizzati da quello che vedevamo e in attesa inconsciamente di qualcosa che doveva succedere di lì a poco e ricordo che fu spontaneo tenerci abbracciati sino a che la nave attraccò al molo e giornata ebbe inizio.
E’ una sensazione difficilissima da descrivere, ma dopo tanti anni ho ancora negli occhi quella visione che non ho avuto più la fortuna di rivedere.
Una volta sbarcati, il programma non era di andare direttamente a raggiungere mamma e Daniele nella casa in affitto, ma di fare tutta la costa sino a destinazione, e così facemmo e quello che vedemmo, sarà stato perché all’epoca ancora non avevamo visto molto, ci fece immaginare di essere in Paradiso, altro che Polinesia, Hawaii o Caraibi.
Vedemmo Porto Rotondo, e già ci trovavamo in costa Smeralda, il golfo della Marinella, dove ci fermammo a fare il bagno, in uno spettacolo da sogno, con un mare da bere in tutti i sensi, per la pulizia, la limpidezza, i colori, ma anche per la temperatura gelida da freezer, tanto che quando uscivamo dall’acqua la pelle gelata dava la sensazione come di bruciare e mancava il fiato. A ogni bagno bisognava stendersi al sole sulla sabbia calda per tornare alla normalità ed avere il coraggio di riprovare. 
 Vi assicuro che non c’era dubbio che saremmo rientrati in acqua, nessuno ci avrebbe potuto fermare, sentivamo un’energia dentro di noi che ci avrebbe permesso qualsiasi cosa, come se il mare ci trasmettesse una nuova linfa vitale.
C’era un lembo di terra che divideva il mare e che ci permetteva di scegliere il lato che era più calmo, ma anche alternare, se in qualche momento preferivamo farci trascinare dalle onde.
Staccarci da quel posto non fu facile, ma la strada da fare era tanta e dovemmo rimetterci in cammino.
Poi,molto velocemente , tutta la costa Smeralda, Cala di Volpe e Porto Cervo e poi Liscia di Vacca, Baja Sardinia, Cannigione, Palau con il porto e le sue spiagge. L’incanto di Porto Raphael, S. Teresa di Gallura con le sue spiagge, ma soprattutto Capo Testa, e poi senza più fermarci sino ad Isola Rossa.
Tutti questi posti li vedemmo di corsa, per poi andarli a rivisitare con calma durante il mese salvo,  Porto Cervo, che, pur essendo bello, non ci fece una grande impressione perché troppo finto, privo di naturalezza, molto ruffiano e chiaramente costruito ad arte per  i ricchi, al contrario di Porto Raphael che invece ci affascinò, pur essendo anch’esso per ricconi, perché la bellezza della natura che, per esempio, a Porto Cervo, secondo me, è inquinata dalle costruzioni, pur belle, lì è predominante.
Addirittura a Porto Raphael ci siamo trovati a passeggiare in mezzo a scogli immensi, senza accorgerci che all’interno c’erano delle abitazioni, che scoprimmo solo perché vedemmo diverse finestre dentro le rocce, all’interno delle quali s’intravedevano grandi stanze arredate..
Altra sosta fu a Capo Testa che addirittura fu capace di toglierci il fiato per lo spettacolo e la potenza della natura, per le forme delle rocce, ma di questo mi riprometto di parlare più avanti perché è la località che nell’arco del mese di vacanza abbiamo frequentato di più.
Finalmente arrivammo a Isola Rossa raggiungendo mamma e Daniele e scoprendo un posto non bello come quelli prima citati, ma abbastanza carino, con di fronte alla casa affittata una spiaggia ed una isoletta.
 
Scoprimmo anche però, qualche spiacevole sorpresa, come il fatto che c’era l’acqua solo poche ore al giorno ed in particolare mancava proprio quando si ritornava stanchi dal mare e la cosa che desideravamo di più era fare una doccia.
Se ci fosse successo oggi, avremmo ripreso la macchina e cercato un altro posto, ma quello era un mondo diverso e noi più adattabili e, pur non gradendo affatto, trovammo il modo di rendere la vita accettabile restando lì e cercando di trasformare l’inconveniente in un gioco.
Sul davanti dell’appartamento che era una specie di villino mono familiare a piano terra, c’era una veranda e noi c’eravamo attrezzati con una serie di contenitori di plastica con il rubinetto, che lasciavamo al sole in modo che quando ci serviva, mettendoci sotto, ci facevamo la doccia calda.
L’unico inconveniente non da poco, era ricordarsi di riempirli tutte le sere, ma per fortuna non era difficile utilizzando un tubo attaccato ai rubinetti di casa, nell’ora in cui l’acqua arrivava, la parte piacevole era fare la doccia insieme con immaginabili sviluppi, che con Rita passavano dallo scherzo al gioco erotico.
Tutto questo nel mese di luglio, immagino come doveva essere la situazione nel mese di agosto.
Come ho già detto, però, durante la vacanza il bagno a Isola Rossa lo avremo fatto una o due volte, perché tutte le mattine andavamo in posti diversi e spesso anche la sera che, però, dedicavamo più ai paesi, in particolare dell’interno più che sul mare.
Le mattinate più belle sicuramente le abbiamo trascorse a Capo Testa, che si presentava come un paesaggio da sogno, con una baia contornata da un’enorme scogliera bianca candida, dalle forme più disparate dalle quali ognuno, con un po’ di fantasia, poteva immaginare qualsiasi cosa, da animali preistorici, a personaggi di tutti i tipi. 

Dava la sensazione contemporaneamente di qualcosa di selvaggio e di antico, come se ci si trovasse al di fuori della civiltà e che se non ci fossero stati alcuni bagnanti come noi ( pochi per la verità), si poteva credere che quello fosse un posto ancora non contaminato dall’uomo, dove,  avendo la pazienza di cercare, si sarebbe riuscito a trovare il posto giusto per ognuno di noi. A ognuno la sua tana, al sole o all’ombra.
Ho ancora una fotografia che ritrae Rita e me sdraiati su uno scoglio sporgente come una mensola da un altro più grande, con una forma concava e avvolgente, tipo amaca, che ci conteneva e proteggeva entrambi.
In quanto al mare, non c’è cartolina turistica né foto professionale pubblicitaria che possa rendere i colori e la limpidezza dell’acqua, per non parlare del fondale che ripeteva sott’acqua i disegni degli scogli fuori e che immergendosi dava la sensazione di un paesaggio lunare.
Insomma, pur cercando di muoverci per vedere posti nuovi, quello era un punto quasi obbligato dove andare almeno per qualche ora il giorno e, malgrado in quella zona sia difficile fare graduatorie in fatto di bellezza, a gusto nostro, è stato il posto che ci è piaciuto di più e dove siamo stati meglio.
Oltretutto non si limitava alla baia perché ai due lati continuava con altri scogli e insenature che sembrava non dovessero finire mai, finalmente il posto ideale per noi che amavamo esplorare. 
Durante il mese, abbiamo fatto una bella gita sia a Caprera che alla Maddalena, con il traghetto, che è stata molto bella, in particolare alla Maddalena, che però ricordo soprattutto per il vento, mentre Caprera per la casa di Garibaldi, che sono  classici, anche se sia il vento per la Maddalena che la casa di Garibaldi per Caprera, distolgono l’attenzione dal fatto di quanto siano belle le due isole a prescindere, in particolare La Maddalena e non fanno loro giustizia.


La sera spesso, per far contento Daniele, andavamo a S. Teresa di Gallura, perché c’era un po’ di movimento di gente più che da altre parti, con il Porto e qualche locale.
Nell’interno abbiamo visitato Trinità D’Agultu, Arzachena, Olbia, Tempio Pausania, Castelsardo e Sassari, senza rimanere particolarmente affascinati da nessuno di questi paesi, che ci hanno lasciato la sensazione di non desiderare di tornarci a differenza delle altre zone di mare.
I nostri rapporti durante tutto il mese furono piuttosto buoni, anche con Daniele che aveva un periodo di relativa tranquillità, non era un momento particolarmente allegro in quanto era morto da pochi mesi babbo, io e Rita abitavamo già da soli e mamma aveva traslocato nella nuova casa e, anche per questo, si era rassegnata a vederci dormire insieme, che era una cosa piuttosto piacevole, anche se rimpiangevamo un po’ l’anno prima, nel quale dovevamo fare tutto di nascosto.
Nel frattempo Rita, con grande applicazione, aveva imparato a nuotare molto bene ed essendo molto resistente s’impegnava a fare lunghe traversate ed anche immersioni, in particolare a Capo Testa, nelle quali io la seguivo abbastanza poco, considerando che, magari nuotavo meglio di lei, ma fumando 80-100 sigarette il giorno, la mia resistenza era abbastanza limitata.
Ricordo che provai anche con Daniele a migliorare il suo nuoto, giacché stava a galla solo con pinne e maschera, ma non ci fu niente da fare, aveva proprio un’idiosincrasia ad immergere il viso nell’acqua senza maschera e non si sentiva sicuro senza pinne, ma soprattutto non intendeva minimamente fare il minimo sforzo per cambiare le cose.
La volontà può far superare qualsiasi ostacolo e spesso è importante quanto l’intelligenza e la predisposizione.
Quando la conobbi, Rita nuotava molto peggio di Daniele, anche perché aveva paura dell’acqua, avendo avuto da piccola brutte esperienze, ma mettendoci una grande volontà e sottoponendosi senza tentennamenti ad una serie di esercizi che le davo, molto simili ad una tortura, piano, piano, imparò a nuotare molto bene, magari non velocissima, ma molto resistente e con uno stile elegante.
L’avrà fatto perché ci teneva tanto a imparare e anche per amore, fatto sta che pur non avendo un grande galleggiamento naturale è riuscita a rendersi completamente indipendente in acqua, cosa che le ha permesso di vedere posti particolari, nei quali si poteva arrivare solo a nuoto e perciò si sentì fortemente ripagata e gratificata dello sforzo fatto e penso orgogliosa di sé e anche un po’ grata.
Quanto agli umani, credo che quella sia stata una delle poche vacanze, forse l’unica, anzi no, c’è stata la Calabria, in cui non siamo riusciti ad avere un rapporto non dico di amicizia, ma almeno cordiale con la gente del posto.
Saremo stati sfortunati ma i sardi normalmente non sono simpatici e la disponibilità non è la loro maggior qualità, almeno in linea generale.
Dicono che ti devono conoscere bene e se poi entri loro in simpatia, le cose cambiano totalmente, non so se sia vero, ma, in ogni caso, il problema è di vedere se hai tempo e voglia di aspettare.
Quello che è abbastanza lampante, salvo le dovute eccezioni, naturalmente, è che soffrono di un complesso d’inferiorità, pensando sempre di essere considerati meno di quello che ritengono idi valere e lo nascondono con un atteggiamento  di superiorità, piuttosto indisponente e aggressivo, insomma una reazione eccessiva e secondo me immotivata, sicuramente molto sgradevole.
Recentemente siamo tornati in Sardegna in un’altra zona del Sud e questa prerogativa, dopo tanti anni e in un posto diverso, l’abbiamo potuta verificare nuovamente, confermandoci nella nostra prima impressione, anche se le generalizzazioni sono sempre per lo meno azzardate.
Non si può avere tutto, i posti sono talmente belli che valgono senz’altro la pena e se gli indigeni non sono gradevoli se ne farà a meno e poi questa è solo un’opinione personale che deriva da un’esperienza limitata che potrebbe anche essere sbagliata.
Così, tornammo a casa, pieni di bei ricordi, con dentro gli occhi, la fotografia di luoghi che non è dato facilmente di vedere, soddisfatti e ricaricati per affrontare un anno d’impegni.
Il 1973 fu un anno particolare, l’anno del nostro primo matrimonio. Ci sposammo il 4 giugno in una splendida giornata di sole.
Fu un matrimonio “sfarzoso”, ci sposammo al Comune di Roma perché non ci piaceva la chiesa della nostra Parrocchia e per sposarci in un’altra, il Parroco, pur non chiedendo una precisa cifra  esplicitamente, ci fece capire che bisognava pagare e noi all’epoca non avevamo una lira e quel poco che avevamo, non pensavamo di spenderlo così..
Così organizzammo la sera prima, una cena a casa nostra preparata da Rita, con i parenti più stretti, in tutto una decina di persone.
Il giorno prima avevamo comprato il vestito da sposa che non era un classico, ma un abito elegante ma normale, che nelle nostre intenzioni, Rita avrebbe potuto indossare anche in altre occasioni, cosa che poi non fece mai.
Io avevo un completo appena fatto, da pomeriggio, ma abbastanza elegante e misi quello.
La mattina del matrimonio Rita si lavò e mise in piega i capelli da sola, evitando così anche la spesa del parrucchiere e della truccatrice e stanchissimi, considerando che, specialmente lei, aveva lavorato tutto il giorno prima, sino di notte, visto che la cena era finita tardissimo e poi aveva dovuto rassettare e preparare i bagagli per il viaggio di Nozze, ci avviammo con la nostra Fiat 126 nuova, verso il Comune.
Lì ci incontrammo con i pochi invitati e facemmo qualche foto nei giardini del Campidoglio aspettando che arrivasse l’ora dell’inizio della cerimonia.
Ricordo ancora la foto di un amico dei miei suoceri ed anche un ottimo sarto, dal quale mi ero servito diverse volte, che si presentò e non sono certo che fosse stato invitato, almeno da noi due, con il giornale l’Unità che sporgeva dalla tasca della giacca, una bravissima persona ma un elemento stonato in mezzo a tutti parenti strettissimi, molto presente in quasi tutte le foto almeno di gruppo.
Alla fine della cerimonia, mio suocero mi chiamò da una parte e mi mise in mano 400.000 lire, che erano poche anche allora, considerando che non avevano partecipato a nessun tipo di spesa e si stava sposando l’unica figlia femmina; per rendervi conto dell’effettivo valore della somma, il vestito di Rita era costato oltre 1.000.000 di lire.
Le presi e ringraziai, anche se l’istinto era di rifiutarle, ma non lo feci, un po’ perché nella situazione in cui eravamo, tutto faceva comodo, ma soprattutto perché un rifiuto avrebbe causato un’incrinatura nei rapporti difficilmente recuperabile e quello non era certo il momento più adatto.
Tanto per chiarire in quei tempi, per poterci permettere una vacanza dovevamo mettere da parte i soldi per un anno intero rinunciando a una serie di spese.
Alla fine scendemmo tutti la scalinata del Campidoglio, ci fermammo al Bar di fronte, dove offrii caffè o cappuccino a chi lo gradiva, salutammo tutti, salimmo in macchina e ce ne andammo con, nella mente, l’idea che stesse per iniziare per noi una nuova avventura, anche se già vivevamo insieme come marito e moglie.
L’ufficializzazione di un legame, dicono che non conti niente e magari per qualcuno sarà così, per me, e sono certo, anche per Rita, fu dare solennità a un impegno molto importante e sentito, come uno start, un colpo di pistola che dia il via a quella parte di vita che dovrebbe, nelle intenzioni, essere la più importante e qualificante e per quanto possibile, per sempre.
La luna di miele dovevamo trascorrerla all’isola di Panarea nelle Eolie, ma, considerando che avevamo qualche giorno prima che partisse la nostra nave da Napoli, trascorremmo circa tre giorni, se non ricordo male, a Positano e furono molto belli.
Già il fatto di trovarsi in Campania ci mise in pace e in armonia col mondo e con il prossimo.
Nella regione siamo stati, in seguito, molte altre volte e nonostante i difetti della gente (ma chi non li ha?), ci ha sempre dato la stessa sensazione, poi Positano se non fai caso al mare che già a quei tempi era parecchio sporco, è come un presepe che però a ogni angolo o a ogni scalino nasconde qualche sorpresa piacevole. 
C’è o almeno c’era, perché ormai sono tanti anni che non ci andiamo, un artigianato di basso costo ma di notevole fantasia, proposto da persone disponibili alla chiacchierata e allo scherzo, apparentemente anche se non compri, dando la sensazione, magari falsissima, ma nel caso, molto ben recitata, di essere interessati a noi più che alla vendita.
L’albergo che prenotammo era molto carino, di stile classico per la Costiera, dove si mangiava bene e c’era un balcone con una vista sul mare bellissima che m’ispirò qualche foto soprattutto di Rita che ancora conserviamo, una delle quali, incorniciata, fa bella mostra di sé sulla toletta della nostra stanza da letto attuale.
L’unico problema era che si trovava in cima al paese e per arrivare al mare e ritorno c’erano una quantità di scale notevole, che per fortuna all’epoca non ci facevano nessun effetto ed in più alcune si riusciva ad evitarle attraverso un ascensore, ma che mi hanno un po’ frenato negli anni successivi ed in particolare questi ultimi, nei quali mi sarebbe piaciuto tornarci.
Ripensando a quel giorno mi viene anche in mente che, non so per quale motivo, in tutta la mia vita non ho mai fatto l’amore, senza un vero, importante motivo, quando quasi tutti gli altri probabilmente lo fanno o loro pensano che lo farai tu, cioè la prima notte di nozze, gli anniversari, San Valentino e simili e così feci anche quella volta, anche se mi presi gli interessi in seguito.
Passammo tre giorni bellissimi e finalmente arrivò il momento della partenza della nave per le Eolie e perciò tornammo a Napoli e prima di tutto, cercammo un garage per la macchina in quanto a Panarea non circolavano autovetture.
Per chi non conosce Napoli, è bene chiarire che non esiste un prezzo fisso per nessun tipo di prestazione o di prodotto e perciò anche per il garage per quasi un mese dovemmo fare una trattativa che dopo qualche tentativo ci soddisfece sia come prezzo sia per il posto che dava sufficienti garanzie di ritrovare la macchina al ritorno.
La scoperta non tanto piacevole fu la dimensione della nave che doveva portarci all’isola, considerando che la traversata era piuttosto lunga e il mare non proprio calmissimo.
Diciamo che più che un traghetto sembrava una barca da diporto, anche se ci sono yacht molto più grandi. Con il senno di poi comunque il problema divenne serio solo nel viaggio di ritorno.
Sulla nave siamo stati benissimo perché, mediante conoscenze, pur avendo un biglietto normale, il comandante ci riservò una cabina matrimoniale di prima classe e fare l’amore cullati dalle onde è un’esperienza piuttosto piacevole, si tratta di sincronizzare i movimenti con quelli della marea e assecondarli al punto che è la marea che ci possiede entrambi, dandoci un piacere un po’ diverso dal solito perché condiviso, come se il mare fosse parte di noi. Non dico un triangolo, ma quasi.
La mattina arrivammo a Panarea passando prima davanti a Stromboli, che anche vista da lontano è bellissima e unica, ma arrivati scoprimmo un paio di cose che non sapevamo prima.
La prima era che all’epoca l’isola non aveva un molo per l’attracco e perciò, per scendere dalla nave, bisognava usare una scialuppa, che con il mare calmo non sarebbe stato un gran problema, ma con un po’ d’onda, le due barche si avvicinano e si allontanano rendendo abbastanza  facile finire in acqua tutti vestiti.
Un po’ con l’aiuto dei marinai un po’ scegliendo bene il tempo di discesa, alla fine riuscimmo ad arrivare sani e salvi e soprattutto asciutti.
Arrivati sulla terra ferma, l’accoglienza fu piuttosto spettacolare per me e penso per qualsiasi altro uomo, un po’ meno per le donne, giacché ci fu data da due ragazze notevoli a seno nudo, una bionda e una mora ma entrambe con un seno marmoreo tanto bello da sembrare finto.
In quel caso non sapevo bene come comportarmi, perché non potevo fare a meno di guardarle, ma non troppo, perché ero con Rita e poi non volevo passare per un assatanato considerando che, dall’atteggiamento delle ragazze, si aveva l’impressione che fosse naturale per loro e per gli altri che erano lì, quell’abbigliamento.
Ci portarono nel punto di ritrovo con il ristorante, il bar e come scoprimmo subito dopo, l’unico posto dove c’era un gruppo elettrogeno e perciò la luce, mentre le stanze che erano sparse per l’isola venivano illuminate con i lumi a petrolio e quando mi resi conto di quanta luce facevano, la sera chiesi:
·     Non si potrebbe avere più lumi o uno più grande che faccia più luce perché io sono abituato a leggere la sera?
·      Mi scusi ma lei non è in viaggio di nozze? Mi rispose il proprietario dell’albergo.
·      Sì e riesco a fare quello che pensa lei e anche a leggere.
·      Certo, stia tranquillo, che sistemiamo tutto.
·      Grazie.
E così fecero.
Inaspettatamente per noi, l’adattamento alle condizioni dell’isola fu davvero immediato e molto più naturale di quanto si possa pensare, dopo un paio di giorni, non ci veniva neanche in mente di cercare la televisione o lamentarci per la luce, era come se fossimo vissuti sempre lì e in quelle condizioni.
La sera ci si riuniva tutti nel punto di ritrovo dopo la cena e ci si sentiva in famiglia, perché l’ambiente era molto cordiale, come se ci si conoscesse da sempre, malgrado notevoli differenze di provenienza, di estrazione sociale e di età e fu spontaneo e quasi immediato chiacchierare con tutti e coinvolgere chiunque in qualsiasi cosa si stesse facendo.
Devo dire che molto merito è stato dei siciliani, sia i proprietari sia i loro parenti e i lavoratori, non c’è dubbio che hanno l’ospitalità nel DNA, insieme alla capacità di mettere a proprio agio tutti.
I residenti erano in maggioranza anziani o di mezza età, quasi tutti ex emigrati, soprattutto in America e rientrati a casa dopo aver fatto un po’ di soldi.
Fu facile fare amicizia con alcuni di loro e ascoltare storie alcune volte interessanti anche se c’era spesso il sospetto che fossero parecchio romanzate.
Erano persone che si erano comprata una barchetta e che si dilettavano ad andare a pesca o a coltivare il pezzetto di terra, in genere orticelli intorno a casa.
Altra particolare caratteristica del posto, ma come abbiamo potuto costatare in seguito, di tutta la Sicilia, erano i gelati e i dolci molto buoni e purtroppo Rita ed io ne facemmo le spese perché tornammo dalla vacanza ingrassati parecchi chili.
Il gergo del luogo almeno da parte dei siciliani, era un misto di siciliano-statunitense, che velocemente si diffondeva anche tra i villeggianti e quella che ricordo di più è la frase tipica al passaggio di una bella ragazza:
Bella bacca.
Dove per bacca s’intendeva letteralmente barca, ma volendo significare però, tutt’altra cosa.
Capisco che la frase non è particolarmente efficace ma non ho le capacità di riportare meglio quel gergo che prevedeva tutto un vocabolario completo, qualcosa che poteva ricordare il “bruccolinese” dei film.
L’isola è piuttosto piccola, tanto che la attraversammo più volte a piedi e in particolare andammo a vedere delle antiche rovine romane sopra una baia bellissima e per farlo dovemmo percorrere dei sentieri in pietra pieni di vegetazione che erano comprensibilmente poco trafficati e questo creò qualche problema a Rita che ha sempre avuto una gran paura dei serpenti.
La cosa comica fu che lei fece tutto il percorso con gli occhi sbarrati per guardarsi intorno, attenta a qualsiasi fruscio ed io che le andavo dietro vidi un bel serpentone attraversare il sentiero appena lei era passata senza accorgersi di niente.
Naturalmente non lo dissi, almeno fino a che fummo tornati, per non rovinarle una delle tante belle giornate.
Di fronte a Panarea c’era un’isoletta abbastanza grande chiamata Basiluzzo che era abitata solo da capre e conigli, dove ogni tanto gli abitanti di Panarea andavano a cacciare.
Esteticamente era bella e caratteristica perché sembrava che sorgesse dal mare con le pareti del perimetro a picco, priva di spiagge, come se un soffione avesse spinto fuori dell’acqua un parallelepipedo.
L’acqua intorno era subito profonda molti metri e per questo presentava dei colori molto belli e particolari.
Ci andammo più volte per visitarla e per farci il bagno, anche se i locali ci dicevano che era un po’ pericoloso il mare in quella zona e che ogni anno ci scappava o il morto o l’incidente.
Anche quell’anno purtroppo ci fu l’incidente mortale anche se non a Basiluzzo ma a Panarea.
Si trattò di un ragazzo giovane che lavorava nell’albergo e che cadde in mare dagli scogli e affogò.
La cosa, naturalmente ci fece una grande impressione soprattutto per il contrasto tra noi villeggianti e quel povero ragazzo giovanissimo che era andato per guadagnare e aveva fatto quella brutta fine.
Di notizie così, anche allora, se ne leggevano o si vedevano in televisione in abbondanza, ma trovarsi sul posto e vedere dal vivo un corpo ripescato dal fondo marino, è tutta un’altra cosa e ancora oggi, dopo trentotto anni, lo ricordo come se fosse accaduto ieri.
Un altro avvenimento che non dimenticherò mai, fu quando ci facemmo convincere da uno dei locali, anziano, uno tra gli ex emigrati, ad andare con lui a pesca di totani.
Il motivo principale fu che, come ho già tentato di spiegare, il suo modo di parlare era caratteristico perché sembrava la caricatura dell’italo americano e una volta fatta l’abitudine a sentirlo, diventava anche divertente e perciò costituiva sia per questo che per il carattere allegro, una piacevole compagnia.
Insieme con noi venne anche il cognato del proprietario dell’albergo che voleva essere sbarcato a Basiluzzo per rigovernare una capanna che aveva e per cacciare un po’.
Era di pomeriggio, ma faceva ancora molto caldo e dopo aver lasciato l’altra persona a Basiluzzo, cominciammo a pescare e apprendemmo che quel tipo di pesca almeno per noi profani era un po’ particolare.
Si svolgeva senza motore acceso ma solo con i remi, vogando controcorrente per qualche centinaio di metri e poi lasciandosi portare dalla corrente indietro, mentre il pescatore immergeva un’ancoretta attaccata alla lenza che aveva una luce intermittente e che tirava su e giù a intervalli regolari.
La pesca andò avanti così per un paio d’ore, con me ai remi e lui a tentare senza però prendere niente, sino a che cominciò a scendere il sole e ad arrivare il tramonto, che rese l’aria un po’ troppo fresca, senza però migliorare il risultato della pesca.
Quando cominciò a fare veramente buio e il padrone della barca si era quasi deciso a tornare, ventilando la possibilità che fosse una giornata sfortunata, senza addebitarne esplicitamente a noi la colpa, ma lasciandolo capire abbastanza chiaramente, in occasione di quella che forse doveva essere l’ultimo tentativo, cominciò a tirare su un totano dietro l’altro, affrettandosi ad immergere l’ancoretta per non perdere il momento propizio.
Ricominciai perciò a remare controcorrente, con lui che m’incitava a fare presto, anche se cominciavo a essere stanco e stufo e inoltre iniziava a fare piuttosto freddo, non tanto per me che mi scaldavo remando, quanto per Rita che stava ferma.
L’avventura continuò almeno un’altra ora, ora e mezza, con noi che, di nascosto, pregavamo che smettesse di tirare su pesce e nel frattempo si era fatto buio pesto.
Provammo a ricordargli che avevamo lasciato l’altra persona a Basiluzzo dove non c’era luce, ma senza grande risultato, in quanto sembrava che la cosa non lo riguardasse e che non avrebbe interrotto la pesca per nessun motivo al mondo.
Finalmente facemmo un paio di passate senza prendere niente e si decise ad andare via, dicendo che il momento magico era finito e a motore ci dirigemmo di corsa a recuperare quel poveraccio che aspettava al buio in mezzo al mare e non fu facilissimo, perché, vi assicuro che, non si vedeva niente a distanza di due metri, ma, sarà stata la conoscenza dei posti e l’esperienza, fatto sta, che riuscì a salire in barca e tornammo tutti sani e salvi.
Tutto questo dimostra quanto sia facile far passare la voglia per sempre di andare a pesca, cosa che, infatti, da quella volta, ci siamo guardati bene dal rifare, oltretutto da quell’avventura non ricavammo neanche un pesce, giacché non si degnò di dividere il bottino con alcuno.
Simpatico ma poco prodigo.
Altra avventura unica fu quella di farci accompagnare in barca nell’altro isolotto vicino: Lisca Bianca, per passare una giornata diversa sino al pomeriggio nel quale eravamo d’accordo che ci sarebbero venuti a riprendere.
La gita durò meno di dieci minuti, entro i quali, facemmo, per fortuna, in tempo a richiamare la barca, visto che, non appena trovato un bel posto e stesi sui teli, fummo assaliti, senza esagerare da oltre un centinaio di lucertole, che conoscevo come animali miti, ma che ci sorpresero per l’aggressività. Ci attaccarono tentando di morderci e quando si tratta di una, non fa un grande effetto, ma in quella quantità, non potemmo fare altro che scappare.
Probabilmente, considerando che, si trattava di un’isola deserta, nessuno gli doveva aver detto che con i coccodrilli non erano neanche parenti o al massimo molto alla lontana.
La cosa peggiore fu, che il tempo volò e la vacanza finì troppo presto.
Una delle volte in cui ci apparve particolarmente spiacevole lasciare le persone con le quali, per un mese, eravamo stati tutti i giorni a contatto.
Eravamo riusciti, in così poco tempo, a costruire un rapporto di confidenza e di simpatia. Qualcosa che somigliava molto all’amicizia, con tutti, dal proprietario dell’albergo, ai villeggianti, all’ultimo degli inservienti, salvo per un caso nel quale una sera, tutti insieme, chiacchierando del più e del meno, gli uomini ebbero la grande idea di chiedere alle donne quanti anni dimostravano.
Con il tempo ho imparato che quella è una cosa che è meglio non fare mai, perché comunque non finisce bene. Coloro che lo chiedono, se sono fortunati, ricevono un complimento chiaramente ipocrita e falso, se non lo sono, una bella delusione, mentre chi deve esprimersi come minimo subisce un imbarazzo inutile.
Per farla breve, Rita dette cinquantotto anni al proprietario dell’albergo che nella realtà ne aveva trentotto e la sua espressione dopo, era tutto un programma che alternava sorpresa a delusione e anche un po’ di rabbia.
Per fortuna era veramente un brav’uomo perché, quando andai a pagare il conto, non ne tenne nota, anzi ci fece anche uno sconto su quanto pattuito.
Così tornammo a Roma avendo fatto una delle più belle vacanze in assoluto della nostra vita, che parzialmente scontammo, perché non può essere tutto perfetto e qualcosa deve pure andare storto, con una traversata di ritorno, ballando tutto il tempo, per via di un mare molto mosso.
Ricordo che quando scesi sulla terra ferma ondeggiavo ancora e ci misi un po’ a ritrovare l’equilibrio e avevo la netta sensazione che il mio stomaco avesse cambiato posizione e fosse posseduto da chissà quale demone infernale, essendo comunque in buona compagnia vista l’espressione e il colorito di Rita.
Era il 1973, eravamo poveri e pieni di problemi, ma quanto eravamo felici e pieni di sogni anche se non ce ne rendevamo conto sino in fondo, almeno io, perché Rita è sempre stata consapevolmente un’ottimista sognatrice.
Il 1974 fu l’anno della Liguria, di Framura, vicino alle 5 Terre, dove andammo insieme a mamma e affittammo un appartamento molto carino che si affacciava sulla piazza principale del paese.
Ricordo che da un lato c’era una bella stanza da letto e un bel balcone molto alto sulla piazza e dall’altro, la casa era appoggiata alla montagna e alcune finestre erano alla quota del terreno e così nacque l’amicizia di Rita con un topino che ogni giorno veniva alla finestra per mangiare.
I posti erano bellissimi, anche se il mare lasciava a desiderare, perché visto dall’esterno sembrava bello, ma una volta immersi ci si rendeva conto di quanto sporco e inquinato fosse e questo valeva anche per luoghi famosissimi, come Portofino, S. Fruttuoso, tutte le 5 terre che pure visitammo e giudicammo eccezionali come paesaggi e architettura.
Per non parlare di S. Margherita, Alassio, Nervi, Camogli, Recco che come gli altri esteticamente erano bellissimi, meno che per il mare .  
Comunque trascorremmo un mese abbastanza piacevole, visitando tutti questi posti ed andando spesso a Genova a trovare dei parenti che avevamo ancora lì, come Lory, la prima figlia di zio Piero con la famiglia e Roberto con moglie e due figli, che era il secondo figlio di zio Mariano.
Ci frequentammo abbastanza per una questione che sarebbe dovuta essere affettiva, ma non so quanto lo fosse perché, considerando le volte che c’eravamo visti prima, eravamo in sostanza estranei.
Inoltre i rapporti non è che fossero proprio idilliaci, perché ci trovammo di fronte a una mentalità molto lontana dalla nostra, avendo loro preso le abitudini e il modo di pensare dei liguri, almeno di quella parte malata di un provincialismo ingiustificato per una città portuale grande e importante, oltre al problema dell’avarizia che costatammo non fosse una barzelletta o una leggenda metropolitana, ma una realtà con la quale convivere.
In più noi, che all’epoca non ci occupavamo particolarmente di politica, venivamo continuamente, specialmente io, coinvolti in discorsi, che essendo loro tutti comunisti convinti (giuro che non se ne salvava uno) ed io no, finivano con continue contrapposizioni, anche se devo ammettere, condotte molto civilmente.
Insomma visitammo posti che valeva la pena di vedere e fummo a contatto con dei parenti che in seguito perdemmo di vista completamente, perciò tutto sommato, forse non è stata la vacanza più bella della nostra vita, ma meritava di essere fatta e ricordata.
Un mese gratificante per gli occhi, molto meno per lo spirito.
Un’avventura da ricordare per la bellezza e per la fatica fu la gita alle Cinque Terre che facemmo Rita ed io, ma non come i comuni mortali, andando in macchina, perché all’epoca se le cose non erano difficili non ci piacevano, avevamo l’idea di dovercele guadagnare.
In breve partimmo da Monte Rosso e  le facemmo tutte a piedi lungo un sentiero in terra battuta a picco sul mare poco sotto la litoranea, quella fatta per le persone normali.

A parte gli scherzi, fu nello stesso tempo una fatica eccezionale e un’esperienza indescrivibile, dopo Monte Rosso vedemmo Vernazza, Corniglia, Manarola e Rio Maggiore, nell’arco di una giornata e quando arrivammo a Rio Maggiore che era l’ultima sosta, eravamo distrutti, ma talmente inebriati e incantati da tutto quello che avevamo visto, sia nei paesetti che lungo la costa, che ci sembrava di non sentire più la fatica.

L’architettura e i colori di quei paesi davano la sensazione che fossero stati costruiti tutti da una persona molto allegra e felice di quello che stava facendo.
Non riesco a spiegare meglio la sensazione che ne ricavai, non si trattava solo di cose belle a vedere, l’unicità nasceva dal fatto che esprimevano allegria, contagiando quelli che le visitavano. Almeno a Rita e a me fecero quell’effetto.
Il 1975 è l’anno della Sicilia.
Andammo in un paesino della provincia di Messina, Scaletta Zanglea, consigliatoci da un ragazzo del posto, Salvatore, che aveva lavorato al negozio di mamma a Roma e che era rimasto per un po’ di tempo arrangiandosi a fare lavoretti di diverso tipo, sino a che non si rese conto che forse stava meglio al paese suo, come il futuro gli confermò.
Andarono avanti a prepararci la strada mamma con la sorella Silvana e quando arrivammo, ci raccontarono un episodio simpatico.
Mia zia aveva all’epoca cinquantaquattro anni e mamma cinquantadue, e mentre mamma non era vistosa in nessun modo non tenendoci all’aspetto fisico minimamente,anzi essendo anche un po’ pudica, la sorella era ancora molto civettuola e, avendo un bel corpo, portava il bikini mentre mamma un due pezzi anche lei, ma con mutande ascellari.
In ogni caso al loro arrivo, appena possibile, andarono al mare considerando anche il caldo che faceva in agosto in quelle zone e dopo un po’ sentirono da lontano:
·      Venite picciotti so’ arrivate ‘e femmene!
Salvo poi, una volta avvicinati, rendersi conto e andare via delusi.
Devo riconoscere che almeno in quella zona e in tutta la provincia di Messina, all’epoca c’era una forma di rispetto verso le donne, sembravano parecchio affamati ma anche  molto corretti.
Oggi forse avrebbero infastidito anche due donne non più giovani come loro.
Dopo un po’ arrivammo anche Rita ed io, dopo un viaggio in macchina che ricordo come un incubo per la lunghezza ma soprattutto per il caldo.
All’arrivo, avendo per fortuna, entrambi, sotto i vestiti, il costume, non andammo nemmeno a casa e senza scaricare i bagagli, ci dirigemmo verso il mare spogliandoci durante le strada.
Ci buttammo in acqua, in modo simile a quello che facemmo anni prima alla Cotaccia, all’Elba, per lo stesso bisogno irrefrenabile, ma per motivi diversi.
Qui si trattava di un bisogno fisico di dover abbassare la temperatura del corpo, alla Cotaccia fu il desiderio irresistibile di cogliere e impossessarsi della bellezza assoluta.

La casa non era un granché, e neanche il posto, anche se circondato da luoghi belli e famosi, da Taormina che distava pochi chilometri, ma il paese era caratteristico non tanto per l’architettura quanto per la fauna locale e per le loro abitudini.
Lungo la strada principale del paese, che poi era la provinciale che andava verso Catania, c’erano i banchetti del pesce fresco pescato nella notte, dove si trovavano soprattutto trance di tonno, pesce spada o un altro che loro chiamavano Alalonga e che era molto buono.
Imparammo, all’inizio molto dubbiosi, soprattutto io, a fare colazione con la granita di limone e una brioche che divenne un’abitudine della quale non potevo più fare a meno e che mi mancò quando andai via.
Per quelli che non la conoscono, la granita in Sicilia è proprio un’altra cosa da quella che si mangia in qualsiasi altra parte di Italia e quella di limone ancora di più.
I loro limoni, almeno all’epoca, non erano come i nostri, ma molto meno aspri e di dimensioni che si avvicinavano più a un cedro che a un limone, per questo l’idea di far colazione con una cosa aspra e fredda di prima mattina abbinata a un dolce, non era così improponibile come potrebbe sembrare.
I sapori erano molto ben amalgamati e gustosi e anche il freddo, considerando la temperatura del luogo anche di mattina, era molto piacevole.
L’acqua di mare era limpidissima e pulita anche perché essendo così vicina allo stretto, c’era una corrente notevole che portava via tutto in pochissimo tempo.
E questo mi fa tornare in mente un’avventura che ancora Rita ricorda, in uno dei primi bagni che facemmo allontanandoci un po’ dalla costa.
Fummo presi da una corrente talmente forte che non ci riusciva a rientrare e anch’io che all’epoca ero giovane e nuotavo molto bene, controcorrente non facevo un metro, anche sforzandomi al massimo, cosa che non sarebbe stata pericolosa in quanto non eravamo così lontani, ma Rita cominciò a spaventarsi sempre di più.
Cercai di spiegarle di non lottare contro la corrente, ma anzi di assecondarla che saremmo finiti verso l’altra punta della baia e saremmo tornati a piedi, se non riuscivamo a nuoto, anche se ero convinto che se invece di nuotare controcorrente avessimo nuotato in diagonale probabilmente ce l’avremmo fatta.
Vidi però che la sua preoccupazione continuava ad aumentare, fino a vederle negli occhi un inizio di terrore e comprendendo che in quelle condizioni potevamo correre un serio pericolo, mi decisi a chiamare aiuto a una barca di pescatori che era abbastanza vicina, che ci prese su e ci portò a riva, non senza un po’ d’imbarazzo da parte mia.
Quella fu, finora, l’unica volta in vita mia che ebbi paura in acqua, anche se non per me, perché negli anni specie da giovane ho affrontato anche mari in tempesta, facendo il bagno senza particolari conseguenze, anzi con un piacere fisico che non credo possa dare nessun altro accadimento.
La sensazione di essere parte integrante e in perfetta sintonia con un mare incazzato che può sollevarti di molti metri e poi riportarti giù, di essere il solo in acqua, restando sempre sulla cresta dell’onda avendo consapevolezza di poterla assecondare qualunque variazione intenda riservarti è qualcosa che, nello stesso tempo, ti fa sentire di avere un potere immenso, ma anche di far parte di una cosa tanto più grande e potente di te.
Sul posto facemmo facilmente amicizia con diversi ragazzi e ragazze, perché insisto che i siciliani, almeno nella provincia di Messina, sono accoglienti e riescono a metterti a tuo agio con facilità, io non so se sia finzione, ma sinceramente penso di no.
E’ probabile che ci fosse la mafia, ma noi non ce ne accorgemmo, anche se alcune usanze sono solo loro, come un certo modo di parlare che non su tutti gli argomenti è completamente aperto e la sensazione che esista la coltura dell’omertà innata, tramandata da padre in figlio da sempre, anche parlando delle piccole cose, anche insignificanti.
Una forma di discrezione portata a livelli estremi, molto spesso senza neanche scopi inconfessabili.
In un paese così piccolo la maggioranza delle donne sia anziane che giovani era in lutto, che per loro era obbligatorio per tradizioni antiche anche per congiunti non proprio prossimi.
Considerando che in un paese così piccolo erano tutti un po’ parenti e qualcuno che era appena morto c’era sempre, la maggior parte delle donne erano sistematicamente vestite di nero, perché non facevano in tempo a finire il lutto per uno, che subito ne moriva un altro. Un divertimento.
In contrapposizione, però devo dire che di tutti i posti che abbiamo visitato, ed in Italia tra vacanze e lavoro ne ho visti moltissimi, una percentuale così alta di gente intelligente, specialmente tra i giovani, pronta e acuta, non l’ho potuta verificare da nessun’altra parte.
Anche fisicamente sono un popolo molto misto, perché si passa dallo stereotipo del siculo piccolo e nero e un po’ scarafaggio, a molti con gli occhi chiari, spesso di un azzurro intenso, alcuni anche biondi e alti, insomma l’immagine del siciliano tipico almeno in quella zona non è così diffuso come si potrebbe pensare.
Sulla strada per Catania abbiamo potuto vedere dei posti molto belli, paesi come Acitrezza, che conoscevo solo letterariamente per via del Verga, Acireale e altri Aci, a parte Taormina e Giardini Naxos che non c’è bisogno che lo dica io, quanto sono belle.
All’epoca la costa era spettacolare, quanto tenuta male, molto sporca, gli scogli erano quasi una grande pattumiera all’aperto,ma mi dicono che oggi le cose sono molto migliorate e finalmente la gente ha capito che è fondamentale per loro mantenere in buono stato i tesori che hanno.
Catania non l’abbiamo vista perché con Rita un giorno ci eravamo decisi a visitarla, ma dopo aver parcheggiato alla periferia della città ed essendoci incamminati a piedi per poterla godere meglio, abbiamo incontrato lungo la strada, una serie di ragazzi che facevano apprezzamenti pesanti su di lei.
Il primo gruppo abbiamo fatto finta di niente, il secondo pure, ma quando abbiamo incontrato il terzo e la storia era sempre la stessa, considerando che, all’epoca, oltretutto ero anche un po’ “fumantino”  e non si sapeva chi ti saresti trovato di fronte, preferimmo tornarcene alla macchina e poi a casa.
Insomma, saremo stati sfortunati quel giorno ma Messina e Catania, per noi, furono e sono restati due mondi diversi e sinceramente non saprei dire quale dei due fosse il più rappresentativo della Sicilia.
Posso parlare solo per la nostra esperienza che è stata molto positiva, non tanto per i posti che sono belli, ma non sono gli unici in Italia, quanto per le persone che abbiamo conosciuto, sia quando siamo andati a Panarea che a Scaletta e delle quali c’è rimasto un ricordo molto piacevole.
Basti dire che, dopo oltre trenta anni, alcuni di loro ci mandavano gli auguri nel periodo delle feste e un paio di volte che sono passati per Roma, ci sono venuti a trovare solo per il piacere di salutarci.
Considerando che non potevano avere alcun tipo d’interesse e che l’amicizia era, anche 30 anni fa, abbastanza superficiale, io la trovo una manifestazione non comune e che mi commuove anche un po’.
Insomma, pur non essendo il posto più bello dove abbiamo soggiornato, almeno a gusto nostro, per tutti i motivi sopra descritti, ne conservo un ricordo molto gradevole; perciò tornammo a Roma molto soddisfatti e certi di aver impiegato molto bene il nostro mese di vacanza.
Nel 1976 ricominciammo con Porto S. Stefano, ma da soli, giacché mamma e Daniele erano alle Canarie.
Le giornate si svolsero pressappoco come gli altri anni e cioè il giorno al mare e la sera in giro per il paese, salvo qualche gita nei dintorni a scoprire posti che non conoscevamo come Talamone e Ansedonia e la Giannella che non ci entusiasmarono particolarmente, almeno non abbastanza da farci cambiare gli itinerari abituali.
Il fatto di essere soli e perciò di dover soddisfare solo le nostre esigenze che, per fortuna, non erano quasi mai in contrasto, lo apprezzammo abbastanza, pur riconoscendo che mamma non era stata così invadente, ma si trattava pur sempre di una persona in più anzi due che, bene o male, anche se discrete, erano comunque presenti e bisognava tenerne conto.
La libertà la apprezzi di più quando per un po’ ti è mancata magari in parte, ma ti è mancata.
Questo dimostra quanto fossimo poco intelligenti all’epoca sia io sia Rita, o se non vogliamo parlare d’intelligenza almeno d’ingenuità e d’inesperienza, in quanto, per l’anno successivo ci lasciammo coinvolgere in una situazione molto peggiore di quella con mamma, come spiegherò tra poco.
Conoscemmo e facemmo amicizia con una coppia vicina di casa, lui, Ermanno, ternano,e la moglie Milena, emiliana.
Si erano sposati tardi, lui era molto più grande di lei e sembravano una coppia molto affiatata e simpatica.
Ci interessavano oltre che per la cortesia e la spontaneità subito dimostrata, per la passione, che aveva lui, per la vela.
Si era portata in vacanza una barchetta a vela di poco più di 3 metri, vecchia ma tenuta come un gioiellino, che ancorava in uno dei due porti  di Santo Stefano, quello più commerciale e con la quale usciva quasi tutti i giorni cercando compagnia, in quanto lei non lo seguiva e preferiva andare sulla spiaggia, anzi, per la verità, avrebbe preferito starsene a casa ma, per amore, assecondava i gusti del marito, ma non sino al punto di salire in una barca.
Così cominciammo a uscire con lui e ad appassionarci sempre più, considerando che per noi quella era la prima esperienza.
Riuscimmo insieme a vedere posti che negli anni precedenti non era stato possibile raggiungere e soprattutto apprezzammo la sensazione che dà la navigazione senza motore.
La stabilità della barca quando è nel vento e l’assenza di rumore, a parte il fruscio dell’aria sulle vele, era qualcosa che le prime volte incuteva rispetto e spingeva al silenzio e all’ascolto.
Il problema era che Ermanno era sicuramente un bravo velista ma non sapeva nuotare e, per uno che si ostinava a villeggiare al mare, è un po’ una complicazione ed era abbastanza buffo il modo in cui si combinava le poche volte che s’immergeva in acqua facendo una specie di bagno.
Pinne, maschera e ciambella per un uomo sopra i sessant’anni già sono abbastanza strane, ma il colpo di grazia lo dava la cuffia che indossava avendo una particolare passione per i propri capelli ed essendo terrorizzato di bagnarli con l’acqua di mare.
Insomma un po’ per l’aspetto fisico che era certamente anomalo, essendo basso ma con gambe e braccia molto lunghe e un torace corto ma molto sviluppato, un po’ per come si combinava, se non gli fossimo stati molto affezionati, ci saremmo tenuti lontani da lui il più possibile, avendo più le sembianze di un animale sconosciuto, che di un  umano terrestre.
Insomma era brava gente, sia lui, sia la moglie, ma pur insistendo a villeggiare in posti di mare, erano senz’altro più adatti alla campagna o alla montagna o forse a starsene in casa.
Anche nella vela, in fondo lui preferiva veleggiare sul lago di Piediluco, dove teneva la barca tutto l’anno, che non al mare.
Nonostante tutto ciò, soprattutto per nostra colpa, che parlammo loro talmente bene dell’Elba, avvenne che alla fine, vollero venirci a tutti i costi.
Così facemmo una gita per trovare una casa per l’estate successiva.
La gita di un paio di giorni all’Elba ce li fece conoscere ancora meglio.
Dormimmo a Portoferraio in un albergo che aveva le stanze proprio sulla spiaggia delle Ghiaie.
Per noi il rumore della risacca fu una cosa molto piacevole, ma per loro un po’ meno, considerando come uscirono dalla stanza la mattina.
Distrutti e con gli occhi di chi non li ha chiusi un secondo per tutta la notte, lo confermarono dicendo che, per loro, la risacca era stata un’ossessione.
Trattenere le risa, per paura di offenderli, per Rita e me non fu cosa facile, ma fortunatamente ci riuscimmo abbastanza bene.
Altro segnale importante che ricevemmo, riguardava la loro “parsimonia” e, su quest’argomento, devo dire che i genovesi sono rinomati, spesso con ragione, ma gli umbri non sono sicuramente da meno.
Secondo loro, avremmo dovuto percorrere diversi chilometri in macchina per comprare una cosa perché costava, all’epoca, poche lire di meno e, malgrado noi non fossimo per nulla d’accordo, loro lo facevano imperterriti, senza considerare che spesso quello che risparmiavano lo spendevano in benzina e tempo sprecato.
Comunque trovammo casa per l’agosto dell’anno successivo e anche lì, pur ricevendo una richiesta d’affitto molto bassa, anche per l’epoca e soprattutto rispetto a quello che pagavamo a S. Stefano, provarono a tirare sul prezzo, senza che noi ci immischiassimo anzi vergognandoci un po’.
Non considerarono che, essendo i padroni di casa ex contadini, che, scarpe grosse e cervello fino, si fanno fregare una sola volta e perciò se hai intenzione di tornare sul posto, quello che hai risparmiato lo ripaghi con gli interessi, l’anno successivo.
Comunque essendo la casa molto grande, sempre pensando al risparmio, ci chiesero di prenderla insieme.
E qui si dimostra che quando uno è cretino è cretino, non basta giustificarsi con l’inesperienza o con l’amicizia, dovevamo capire che c’era la concreta possibilità di rovinarci la vacanza e naturalmente……. Acconsentimmo.
Così tornati a S. Stefano a vacanza quasi finita, ci trastullammo ancora qualche giorno con la barca per poi tornare ognuno a casa propria, con il progetto però di vederci sia a Roma sia a Terni, cosa che facemmo più volte anche piacevolmente, poiché dopo aver parlato dei loro difetti, devo riconoscere loro una grande ospitalità.
Il 1977 perciò, fu l’anno dell’Elba ma in coabitazione, cosa che è restata, perché unica, nella nostra storia come un avvenimento che ha rivestito più importanza di quello che avrebbe meritato, se non altro come monito a non ripetere più l’esperienza.
L’isola è bellissima e, malgrado noi già la conoscessimo abbastanza bene, ci fece piacere rivedere molti punti, che non vedevamo da un po’, avendo lo stimolo di farli conoscere ad Ermanno e Milena.
Così appena possibile girammo più del solito, soprattutto nel pomeriggio dato che la mattina era di solito dedicata alla vela e al mare.





Quell’anno avemmo anche un’esperienza unica a proposito di mare. Sulla barchetta a vela Ermanno, Rita ed io ci eravamo allontanati dalla costa non più di tre miglia, cosa abbastanza normale e a un certo punto Rita disse:
·      Una pinna, un pescecane!!!
Con un tono che non era certo di curiosità.
Noi due increduli la guardammo come se lo avesse immaginato.
·      Non ci sono pescicani in questa zona e così vicini alla costa. Dissi io.
Ci guardammo intorno e dopo un po’ vedemmo spuntare la pinna che ci si avvicinava sempre più a una velocità notevole, fino a che ci passò proseguendo parallela alla fiancata e potemmo costatare, attoniti e non senza una certa preoccupazione che l’animale era più lungo della barca.
Per alcuni minuti non volò una mosca e quel silenzio era pesantissimo perché racchiudeva sentimenti di sorpresa, di paura e di incredulità ma poi, dopo un po’, ci riprendemmo e chiacchierammo della cosa come un’esperienza importante che avremmo potuto raccontare.
Quel giorno nessuno di noi fece più il bagno.
Altra nota di merito di quell’anno è stata la convivenza che, nonostante tutto, finì bene, nel senso che non ci furono litigi e che addirittura riuscimmo a mantenere anche l’amicizia, non senza qualche difficoltà, ma usando parecchia buona volontà da parte di tutti.
Il problema principale erano le spese che Ermanno pretendeva di dividere al centesimo, anche se, all’epoca i centesimi ancora non c’erano, cosa per noi inaccettabile, fastidiosa e leggermente offensiva.
Trovammo il compromesso che ognuno comprava per sé, cercando di evitare accuratamente di fare qualche omaggio che se no, doveva essere ricambiato.
Malgrado questo ci toccava aspettare che loro facessero la spesa al supermercato del paese vicino che poi tanto vicino non era (15-20 km), sempre per la convinzione di risparmiare, senza però contare i soldi della benzina, le file dalle quali in vacanza si cerca di fuggire, per non sentirsi in città e il tempo tolto alla vacanza.
Ultimo problema, ma non ultimo e sicuramente non il meno importante era la privacy, intesa in questo caso come rapporti sessuali e cioè come averli senza che qualcuno dall’altra stanza sentisse tutto.
Anche se noi non ne parlammo mai, loro si resero conto che il problema esisteva e per risolverlo ogni tanto molto chiaramente anche senza parlarne, uscivano lasciandoci soli, facendoci sapere in modo da non sottolinearlo troppo, verso che ora intendevano ritornare.
Nonostante la loro buona volontà, però, il sistema non risolse il problema perché io e penso anche Rita, non gradivamo di fare sesso quando loro ci concedevano il permesso e perciò oltre agli altri problemi, fu un’estate particolarmente casta.
Ci sentivamo come una squadra di calcio in ritiro, mare, sole, sport, noia e castità. Solo che i calciatori li pagano bene!
Il 1978 rapirono Moro e poi lo uccisero.
Mi ricordo che la notizia del rapimento e dell’uccisione della scorta la ebbi presto andando in Ufficio e quella mattina non si lavorò e  non si parlò d’altro.
Ebbi la sensazione che da quel momento niente sarebbe stato più uguale a prima e che quel fatto segnava l’inizio della fine di alcuni principi validi sino a quel momento.
Ci sono cose che non si fanno qualunque sia la motivazione o la giustificazione.
Da allora, le azioni scorrette, i colpi bassi, si sono susseguiti negli anni sempre peggiorando sino ad arrivare a oggi che, sinceramente non saprei dire se siamo arrivati al fondo, ma se anche non fosse, ci siamo molto vicini.
Quello che è certo è che ci rimise il povero Moro che, secondo me, senza particolari colpe, neanche politiche, salvo il fatto di avere la grande capacità di parlare senza farsi capire, che, per un politico, non è cosa da poco, fu barbaramente ucciso dopo aver dovuto subire una prigionia che fu una tortura psicologica, nella quale, la mia sensazione fu, che lo distrussero nella mente prima ancora che nel corpo.
Moro sembrava, almeno dall’esterno essere un uomo mite e anche piuttosto accomodante e in quella situazione deve essersi sentito non solo impotente, come sarebbe stato normale per chiunque, ma anche violentato nell’anima e in tutte le convinzioni consolidate in un uomo di quell’età, in cattivo stato di salute e abituato alle alte cariche dello Stato.
Non potrò mai dimenticare e penso di non essere il solo, l’immagine di Moro dentro il portabagagli di un’utilitaria, in una posizione che è possibile assumere solo se si è morti, come avessero interrotto tutti i terminali nervosi, come un burattino senza più i fili.
Mi chiedo dove fosse finita la pietà umana in quella gente che lo ridusse così e se penso che ora la maggior parte di loro, se non tutti, sono liberi, mi sento sopraffatto da un impeto di rabbia per l’ingiustizia che secondo me scaturisce da tutto ciò.
La vita continua e dopo alcuni mesi, in agosto ci facemmo la nostra consueta vacanza di nuovo all’Elba, ma questa volta fortunatamente da soli.
Prendemmo un altro appartamento in affitto sempre dallo stesso proprietario, ma in campagna, al di fuori del piccolo borgo dove eravamo andati l’anno prima con Ermanno e Milena, e in alto a picco sul mare.
Quella, da allora, fu la nostra casa delle vacanze per numerosi anni di seguito e la ricordo ancora, magari non come la più bella, ma sicuramente la più confortevole.
Quell’anno frequentammo spesso mio cugino con la moglie che possedevano la casa di proprietà a Marciana e di cui ho accennato in precedenza.
In agosto la moglie c’era solo i fine settimana perché prendendo le ferie in Luglio, doveva lavorare, mentre lui, essendo professore di lettere alle superiori era libero, perché gli insegnanti hanno molte più ferie dei comuni mortali.
Ogni tanto si prendeva qualche anno sabatico per il “troppo stress” dell’insegnamento o per cogitare sulla sua vita e il suo futuro, dicendo di provare a fare qualcosa, che ne so, magari scrivere, che potrebbe sembrare naturale per chi insegna letteratura.
Forse immaginando qualche viaggio per distrarsi e lenire i tormenti della sua anima, meglio se in luoghi famosi per essere frequentati da ragazze giovani e disponibili.
All’epoca aveva trentotto anni molto ben portati, un fisico asciutto e tonico, insomma quello che le femmine potrebbero considerare un bel fusto, con in più i capelli biondi, gli occhi celesti un po’ slavati e  un viso dai lineamenti regolari, anche se abbastanza inespressivo, ma spesso le donne, come del resto gli uomini, si fanno incantare dall’insieme dimostrando grande incapacità di notare i particolari.
Proprio questo gli ha permesso di puntare sempre sull’aspetto fisico e anche sulla qualità, per chi lo conosceva solo superficialmente, di far immaginare chissà quali alti concetti stessero attraversando quella mente elevata, proprio in quel momento;concetti che lui naturalmente si guardava bene dal permettere di decriptare, restando avvolto nel mistero.
Come diceva De Gregori in quella famosa canzone? Ah, sì, ….. “E non c’è niente da capire”.
Ci adeguammo un po’ alle loro abitudini andando al mare il pomeriggio dopo le quattordici e spesso passavamo prima da casa loro.
L’accoglienza era inappuntabile anche se un po’ troppo formale, considerando che siamo cugini carnali e che lasciava una sensazione di poca spontaneità, come se fosse uno standard dedicato a tutti allo stesso modo.
Il fatto di offrirmi, sistematicamente da bere degli alcolici, sapendo benissimo che ero e sono rimasto astemio, dopo la prima o la seconda volta che rifiutavo, spiegando il perché, cominciavo a chiedermi: è completamente rincoglionito, non sa con chi sta parlando , non gliene importa niente o non ti considera degno di attenzione?
Questa pantomima involontaria si ripete da più di trent’anni, sempre uguale e allora o l’interrogativo, pur continuando a non avere una risposta, può diventare sempre più ambiguo oppure te ne freghi anche tu di capire, cerchi di frequentarlo di meno, che tanto si vive lo stesso, anzi meglio, considerando che oltre a questa stranezza c’è anche il fatto che quando ci parli hai la netta sensazione che ti considera non alla sua altezza e adatto a parlare solo di cose superficiali.
In tanti anni ho avuto rapporti con diverse persone di cultura superiore, ammesso che lui rientri in questa categoria, ma il suo modo di ricercare vocaboli difficili anche trattando argomenti leggeri, chiacchiere da bar o da spiaggia, dice molto su l’idea che ha di se stesso e degli altri ed è una cosa che ho riscontrato solo in lui, anzi posso dire che, sarò stato fortunato, ma la mia esperienza mi fa dire che più le persone sono di qualità e più parlano semplice, magari esprimendo concetti difficili e importanti.
Questo era il suo lato intellettual-caratteriale e lo è ancora perché con l’età non è certo migliorato anzi.
Poi c’era tutta la parte godereccia da Don Giovanni, vero o presunto. Certo è, che era sistematicamente a caccia di donne e quando riusciva a concretizzare qualcosa non perdeva l’occasione per raccontarlo a tutti, meno alla moglie naturalmente, che, per anni, ci siamo tutti chiesti, come facesse a non accorgersene.
Io non so se sia stato un vero Casanova, come ritiene lui o solo uno che ha avuto qualche avventura extraconiugale come succede a molti. Se le donne che ha avuto sono solo quelle che ha fatto sapere a tutti e mancava poco che mettesse un editto nella piazza di Marciana, sarei propenso per la seconda ipotesi, anche se, il saperlo, non è che cambi molto circa il giudizio che si può avere sulla persona nel suo complesso.
Sicuramente se invece di inseguire le sue ambizioni da intellettuale che non l’hanno portato a nessun risultato concreto, sia in quello che ha saputo produrre e cioè niente, sia nel rapporto con gli altri, avesse seguito il suo istinto che è sempre stato quello molto prosaico di mangiare, bere e scopare bene, sarebbe stato meno incazzato con il mondo intero e più simpatico alle persone che l’hanno frequentato.
In quanto alla moglie, si è sempre dimostrata affettuosa con noi, gentile , disponibile ed ospitale, anche lei con i suoi difetti, ma come tutti.
Si è sempre distinta per ricordarsi gli auguri nelle feste comandate e per il palese tentativo di mantenere un rapporto che con gli anni è andato sempre peggiorando.
Un suo lato abbastanza fastidioso per me è la sua tendenza a identificarmi, ma penso di non essere il solo, col marito, senza rendersi conto di quanto siamo diversi e un suo modo di esprimere giudizi come fossero sentenze, magari non sarà così, ma in quei casi, da la sensazione di non essere attraversata dal minimo dubbio.
La frequentazione con mio cugino aveva un altro inconveniente e cioè quello di lasciarci influenzare dalla sua pigrizia, come andare al mare sempre più tardi, e sempre nello stesso posto, da parte sua giustificata dal fatto che quando noi arrivavamo, lui si era già fatto più di un mese di vacanza.
Colpa nostra naturalmente, visto che non ci obbligava nessuno a seguire le sue abitudini, ma purtroppo, la pigrizia è contagiosa.
La sera o ci si vedeva al bar del paese, che all’epoca era uno solo o ci dedicavamo alle passeggiate, perché loro non sempre scendevano.
Chi legge, potrebbe chiedersi il perché, quando scrivo di lui, risulti, piuttosto esplicito un po’ di risentimento da parte mia nei suoi riguardi, più che nei confronti di altri che obbiettivamente non sono migliori e neanche più simpatici.
Si tratta solo di delusione per avere all’inizio del nostro rapporto, sbagliato completamente il giudizio su di lui, sia dal punto di vista intellettuale che umano.
Mi rendo conto che non è giusto parlare solo dei suoi difetti, che pure sono reali, ha anche qualità, alcune importanti, come, per esempio, non averlo mai sentito abbandonarsi a una maldicenza, che ormai è diventata cosa rara, rivelarsi, nonostante tutto, molto attaccato alla famiglia, molto protettivo e se trovasse il coraggio di liberarsi da questa maschera che ha indossato ormai da troppo, risulterebbe simpatico e umano, ne sono certissimo.
Alcune scusanti per il suo comportamento che derivano dall’essere cresciuto sentendosi dire, prima dalla madre e poi dalla moglie di essere una mente superiore e se sei già di carattere ambizioso e, all’apparenza, privo della capacità di giudizio su te stesso, a forza di sentirselo dire, forse in parte cominci a crederci o fai finta e ti adegui, anche perché è comodo e piacevole, specialmente se non c’è nessuno che ti spinga a competere o a metterti realmente alla prova.
Bisognerebbe, però, sempre rammentare che le persone sono complesse e dare un giudizio sommario in modo superficiale, non è giusto né corretto e perciò prendete le mie parole come un’opinione, dovuta a una reazione ai suoi comportamenti, senza l’ambizione di dare giudizi definitivi.
Se scavo dentro me stesso alla fine provo affetto per lui, ma mi resta difficile e sgradevole frequentarlo.
In quel periodo, il paese, era pieno di ragazzi che facevano le ore piccole, spesso bevendo più del necessario, molti dei quali erano cresciuti insieme perché pur essendo molto giovani, erano già anni che venivano all’Elba e perciò si era creata una compagnia di circa ventenni, molto legati che si ritrovavano ogni anno.
Una cosa bella, era la sensazione, non so quanto reale, di un’atmosfera molto familiare e cameratesca, che come scoprimmo anni dopo, apparteneva solo a una parte dei ragazzi, perché c’era un gruppo molto meno apprezzabile, che faceva uso di droghe e sinceramente non so come finisse le serate.
La vita si svolgeva sempre abbastanza monotona, ma a noi stava bene così in quel periodo, che durò diversi anni più o meno sempre uguali.
Stessi incontri, stesso mare, per la maggior parte Patresi o Sant’Andrea e stesse serate con qualche volta una passeggiata a Marciana Marina a vedere i negozi, a prendere un gelato e trascorrere un po’ di tempo in libreria.


In quegli anni avemmo modo di conoscere molta gente senza però legare vere amicizie, solo rapporti cordiali, persone di tutti i tipi che avevano in comune solo il fatto di venire tutti gli anni  perché, quasi tutti, possedevano una casa di proprietà e la cosa più piacevole era rincontrarsi dopo un anno; era come una sensazione di tornare a casa e ritrovare persone amiche con le quali scambiarsi i racconti di un anno trascorso lontani.
Una cosa veramente caratteristica fu la conoscenza di due famiglie romane che andavano tutte le mattine a Patresi con le loro seggioline, sdraie e lettini, sistemandosi abbastanza vicini tra loro, sulla spianata di cemento davanti al mare, che vedemmo per la prima volta nel 1967 e che c’erano ancora nel 2010, sempre nello stesso punto, ma proprio lo stesso, un po’ invecchiati, ma ormai parte del paesaggio, totalmente incorporati.
Danno la sensazione che per loro sia molto naturale e logico occupare lo stesso identico posto al mare per oltre quaranta anni e se qualcuno fa una battuta sull’argomento, si sorprendono che qualcuno lo trovi anomalo.
Più il tempo passa e più mi convinco di quanto è speciale e interessante l’uomo perché, osservandone i comportamenti, molto spesso la realtà supera qualsiasi fantasia.
CONTINUA

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