lunedì 18 aprile 2011

IL SUPER EGO MILIONARIO DEL VATE DI REPUBBLICA



IL SUPER EGO MILIONARIO DEL VATE DI REPUBBLICA
Di Giuliano Ferrara

La vanità è una brutta bestia. Quando la vecchiaia si impa­dronisce di un uomo, e un fu­tile compiacimento di sé si insinua nel suo cuore, perfino la di­sperazione di vivere diventa ridi­cola. Prendiamo Eugenio Scalfari, il Fondatore della Repubblica , il giornale che ha esercitato ed eser­cita con successo una pedagogia autoritaria ma non autorevole (glielo disse addirittura l’avvocato Agnelli, sempre attento al quoti­diano- cognato). Da una sua bella vecchiaia, magari orgogliosa e su­perba, ma non vanitosa, avrem­mo avuto tutti qualcosa da guada­gnare. Un bel vecchio sicuro della propria debolezza poteva riflette­re sulla sua boria fascista d’antan (scriveva allegramente su giornali del Duce, ma non se ne è mai as­sunto la responsabilità civile, reci­tando invece nella parte di un eroe longanesiano dell’eterno an­tifascismo bacchettone); poteva indagare sulle miserie di una sca­lata sociale e mondana che ha de­formato e massificato commer­cialmente la tradizione liberale del Mondo di Pannunzio, ma ha preferito lasciarsi pigramente coc­colare dai beautiful people di una Roma carina e indulgente; sareb­be stata una bella lezione intro­spettiva il suo riandare ai giorni in cui divenne un riccastro, sacrifi­cando a un pacco di miliardi debe­nedettiani le bellurie dolosamen­te bugiarde che raccontava sull’’editore puro, e sul giornale che ha per soli padroni giornalisti libe­­ri e lettori, libertà inesistente scam­biata per solida paghetta nella ur­gente necessità di mettere insie­me la dote per le figlie, come disse giustificandosi, spudorato e inge­nuo; sarebbe stato bello se avesse denunciato il suo conflitto di inte­ressi con il proprio editore nella ventennale crociata antiberlusco­niana per st­rappare tanti bei milio­ni di euro all’Arcinemico, che ave­va rilevato Retequattro dal falli­mento degli eletti mondadoriani e poi la Mondadori dai suoi vecchi azionisti, lasciandogli la Repubbli­ca e il tesoretto dei giornali locali per imposizione politica di Craxi e Andreotti, intermediario Ciarrapi­co; e una meraviglia, sarebbe sta­to, uno Scalfari sereno, con qual­cosa di venerando sotto la sua or­namentale barba bianca, uno Scalfari equilibrato e non vacuo, non rancoroso, autoironico sul suo non facile rapporto di attrazio­ne verso la cultura che lo possiede ma che lui non possiede, la filoso­fia che biascica da liceale del se­condo banco, e magari capace di capire che la laicità è un valore lai­co e liberale, non una stupida con­fessione di fede e di ceto. Niente da fare. Il Fondatore af­fonda sempre di più nell’immode­stia scritta, orale e televisiva. Si guarda pensare allo specchio, in­contra il cardinal Martini per sug­gerire una spiritualità severa, pro­fonda, ma la sua, non quella del prelato di riferimento. Butta fuori a ripetizione libri ariosi e primave­rili, bozze di un banale giornali­smo culturale di serie B, per farseli recensire con gridolini di pensosa delizia sul suo giornale. S’incarta nelle varie «biennali della demo­crazia », dove i suoi scudieri neopu­­ritani, giuristi e ideologi altrettan­to vanagloriosi, gli apparecchiano un simulacro di idee e di pubblico che fa mercato, che fa soldi, che fa politica con mezzi spesso indecen­ti, da cinepanettone porno. Que­sto per la coltivazione dell’amor proprio dal basso. Intanto il suo italianista de chevet , debole in con­giuntivi, lo sprona a tirare le conse­guen­ze dei suoi ragionamenti sull’Arcinemico, a chiamare i Carabi­ni­eri e la Polizia di Stato per conge­lare le Camere in una bella prova di forza dall’alto. Il liberalismo del 113. In molti, tra i miei amici, aveva­no provato a restituire a Scalfari un po’ di fiducia in se stesso,solle­citandolo a essere come vorrebbe apparire, una specie di piccolo Montaigne meridionale, un diari­st­a introspettivo di magagne trop­po umane, e non una caricatura di filosofo, un guru pomposo e sem­­plicista per una élite di ignoranti in molta fregola, pieno di albagìa e di intolleranza. Non c’è stato ver­so. Viltà e vanità sono il carattere, evidentemente indelebile, del chierico italiano medio, il suo stig­ma botanico, la parte che riceve quella che Jonathan Franzen de­scrive come «l’impollinazione cul­turale » dei liberal derelitti e medio­cri nonostante tanta volgare pre­sunzione di sé. Peccato, e pazien­za. Bisognerebbe sottoporre il pe­tulante narciso alla cura del silen­zio, che gli farebbe un gran bene. Non fosse che per questo Paese soffocato dai cercatori di applau­so, intontito dagli amplificatori di un senso comune forcaiolo e fazio­so, la cura delle vanità è un sottile quotidiano veleno, fa male, sfini­sce, imbruttisce.
  
   Riporto quest’articolo per svariati motivi: 
  1. Ne condivido il contenuto parola per parola e mi sarebbe piaciuto                      saperlo     scrivere io, con quella proprietà di linguaggio, secondo me non comune tra i giornalisti. 
  2. Tocca uno dei mostri sacri della ns. generazione che pochi si azzarderebbero a mettere in discussione. La nostra povera Italia è piena di bluff ai quali vengono riconosciute, dandole per scontate, qualità, ad opera di una parte della stampa e della cultura interessate,  che non solo non hanno, ma che non possono neanche essere messe in dubbio. 
  3. Scalfari è solo uno dei tanti, ma sicuramente il più intoccabile e il solo metterlo in discussione è un titolo di merito. 
  4. Per chi ha avuto, e non sono pochi, l’avventura di leggere gli scritti del vate di Repubblica , non solo quelli di adesso, che potrebbero essere influenzati dall’età, ma anche quelli del periodo della maturità, se li ha valutati con spirito libero, e non partigiano, avrà potuto verificare che, per essere gentile, l’arte della scrittura non è propria la sua migliore qualità e in quanto al parlare, anche peggio.  
  5. Si sarà chiesto,allora, come ha potuto avere la fama che ha ancora, fondare un giornale, passare come uno dei grandi vecchi saggi italiani. In parte lo spiega Ferrara molto bene ma per essere ancora più espliciti, dietro c’è solo un disegno politico ed economico che sta avvelenando l’Italia da molti anni. Chiedetevi documentandovi, e approfondendo le conoscenze, chi siano i veri “Compagnucci della Parrocchietta”.

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