martedì 22 novembre 2011

VENTUNO NOVEMBRE 2011

VENTUNO NOVEMBRE 2011

Occhi neri, capelli neri, giovane, piuttosto carina, pare che sarà lei che indagherà sulla mia vita, almeno dal momento in cui ho dovuto impersonare, molto malvolentieri, la parte del malato, ad oggi.

Tante domande, troppe, sicuramente necessarie, anzi indispensabili, ma quanto erano affascinanti quei medici, che da giovane ho fatto appena in tempo a conoscere, ai quali bastava un’occhiata e una visita corporale per intuire quello che avevi e decidere una cura.

Qualche volta ci azzeccavano (spesso) altre, rischiavi come minimo l’aggravamento.

Sicuramente per il malato è meglio adesso e lo dicono le statistiche sulla durata della vita, ma quell’alone, spesso affascinante, che era una via di mezzo tra l’austerità dello scienziato e il mistero dello sciamano, i medici, per quanto bravi possano essere, salvo rarissime eccezioni, non ce l’hanno e temo che non ce l’avranno più.

L’epoca dei pionieri è finita, ha occupato il suo posto, la tecnologia e l’applicazione delle scoperte scientifiche universalmente approvate.

Ora seguono un protocollo sperimentato che su basi statistiche ha dato e darà, di solito, buoni risultati.

Dà, certamente, sicurezze al malato e ancora di più a loro.

L’unico problema è che qualche medico, alcune volte, dimentica che non esistono in natura due malati uguali e spesso neanche due malattie uguali e che trattare tutti allo stesso modo, magari statisticamente darà pure i suoi buoni risultati, ma singolarmente potrebbe rivelarsi un errore grossolano.

A parole sembrerebbero tenere conto delle persone, in pratica le terapie sono le stesse o quasi, per tutti, tenendo presente però, che, a loro giustificazione, quando si tratti di cancro, non hanno molti margini di manovra e qualche volta dopo averne provati alcuni senza successo, nessuno.

Ultimamente parlando con il mio medico curante mi sono lasciato sfuggire, non riferendomi a lui però, ma a una sua collega:

- E’ proprio antipatica, speriamo che almeno sia brava, perché quella del medico è forse l’unica professione importante nella quale la simpatia è un optional, se anche non c’è, non importa, basta la bravura.

Credo che la frase non gli sia piaciuta, anche se non ha fatto commenti, e ripensandoci non credo che sia vero e sono certo che avevo torto.

Il medico, proprio perché tratta con gente che si trova in un momento di fragilità, dovrebbe far di tutto per dimostrarsi umano e il più possibile gradevole.

Soprattutto considerare chi ha di fronte come un essere umano pensante, con una propria volontà e una sua personale concezione della vita.

Metterlo nella migliore condizione (almeno chi lo richiede) di essere in grado di poter scegliere o accettare le terapie proposte.

Per ottenere questo, secondo me, il dottore dovrebbe spiegare nei limiti del possibile, i pro e i contro delle varie cure, come quando si compra un prodotto e si valuta la qualità rispetto al prezzo.

Mi rendo perfettamente conto che il malato che ragiona così, sia una complicazione e che quelli che si affidano totalmente nelle loro mani, siano molto più graditi, ma nello stesso tempo sino a che la capacità di giudizio non viene colpita, credo che, decidere per se stessi, sia uno dei pochi diritti inalienabili rimasti.

Il rischio di diventare antipatici a chi sta cercando di salvarti la vita è naturalmente sempre presente e in certi casi e con alcuni, potrebbe diventare controproducente e indurrebbe a lasciar fare, ma questo, a mio modesto avviso, è un pericolo che vale la pena di correre.

Quando, come nel mio caso, mi si è fatto, almeno velatamente, capire che dovrò morire entro poco tempo e che le cure che restano, salvo miracoli, tendono solo ad allungare un po’ i tempi e a migliorare la condizione fisica, considerato che non ho istinti suicidi, l’unica scelta che mi rimane è impedire a chiunque di fare qualsiasi cosa, anche la più giusta o la più amorevole, contro la mia volontà.

Insomma questo è l’unico caso in cui la buona fede, pur essendo apprezzata, non basta.

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