LA MALATTIA E LA DIGNITA’
Una mela al giorno toglie il medico di torno.
Forse sarà una mela stregata. La mela di Biancaneve. Non le amo molto, ma se esistesse sul serio, sarei disposto ad accettare qualsiasi conseguenza, anche la più spiacevole.
Purtroppo, pur non stimandoli, almeno quasi tutti e non essendo affatto convinto che, spesso, il loro operato risolva i problemi, è praticamente impossibile eliminarli dalla nostra vita.
Prima mi sembravano matti, ma ora riesco a capire quelle persone che ricorrono a cure alternative, non riconosciute dalla scienza medica ufficiale, magari in paesi esotici.
Non credo che io ci proverò mai, ma, solo perché non credo che siano migliori dei nostri, pur riuscendo a giustificare che qualcuno, esasperato, rincorra una speranza, pur essendo spesso coscienti, che non porterà risultati concreti, ma, in certi casi, un’illusione, ha il suo valore e può fare la differenza tra desiderare di vivere o di morire.
Sinceramente sottopormi a danze di sciamani, a bere miscugli, con pelli di serpente, uova di coccodrillo, code di lucertola, erbe sconosciute e sangue di vergine, il tutto in un liquido bollente nerissimo, non lo trovo, solo illogico e inutile, ma soprattutto troppo comico, per me, oltre che un po’ ributtante.
Non potrei resistere serio e questo potrebbe anche essere una cosa gradevole, ma non so come la prenderebbero chi me la propina e in genere si tratta di gente nervosa.
Non vorrei che, magari, sbagliassero la formula o la grammatura di uno dei componenti e invece di guarirmi mi trasformassero nella bella addormentata nel bosco o peggio in un rospo, anche perché sono certo che, nel mio caso, il principe azzurro o la principessa non arriverebbero mai, perché il tempo dei baci, ho paura che sia finito, almeno quelli di un certo tipo, e che non ritornerà.
A pensarci bene però, questi almeno ti fanno ridere, come i guaritori asiatici, quasi tutti mistificatori, i nostri, in genere, se sai leggere tra le parole, ti tolgono anche quasi tutte le aspettative pur tentando, secondo loro, di rassicurarti.
Per chi sta come me, con il passare del tempo, la convinzione di poter guarire prescindendo dai medici si riduce praticamente a zero, ma il brutto è che, dopo un po’, cominci a pensare che, anche con il loro contributo, le cose potrebbero non cambiare di molto, basandomi sui risultati ottenuti.
Hanno tutti un atteggiamento di sicurezza, certi di quello che dicono, almeno apparentemente e anche quando sono più sinceri e mettono in questione, non tanto se stessi, quanto i limiti della medicina, accettano mal volentieri che si possa discutere la terapia o la prognosi, anche se c’è chi, come me, si è abbondantemente documentato e non dice cose completamente illogiche.
Dall’alto della loro scienza, non possono accettare che, i loro lunghi studi, possano essere messi in dubbio da una persona, che nella vita ha fatto tutt’altro e, neanche il fatto di stare male ed essere perciò il diretto interessato, la può giustificare ai loro occhi.
Si dimenticano che, spesso il paziente, non sa bene come curarsi, ma sa, sicuramente meglio del medico, i suoi sintomi e spesso, anche se una medicina è efficace oppure no, almeno, dopo averla provata.
Insomma credo che il medico abbia bisogno del paziente e il paziente del medico per fare un buon lavoro e se la maggior parte dei dottori capissero questo, forse qualche risultato migliore si otterrebbe.
Sempre che il paziente sia ancora “paziente”, perché solo chi ha dovuto, per necessità, frequentare la sanità in generale, può rendersi conto di quanto la tolleranza sia difficile da controllare e da conservare.
Tuttavia, la sopportazione ha sì un limite, ma è sistematicamente superato e perciò il povero malato, si trova in bilico tra continuare a accettare certe cure che spesso sono torture, oppure fregarsene di tutto, succeda quel che succeda.
Di solito, finiamo per sorprenderci, ogni volta, di quello che riusciamo a sopportare, di una capacità di adattamento, che non avremmo mai neanche sospettato di possedere.
Insomma il luogo comune che dice: quando c’è la salute c’è tutto è abbastanza vero, anche se, non è vera la logica deduzione che, quando non c’è più, non ci resta niente.
L’uomo è adattabile più di quanto si pensi e me ne sto accorgendo, facendone le spese personalmente.
Più vieni privato di alcune abilità e più ne scopri altre che pensavi di non avere e che, bene o male, riescono a riempirti la vita, questo almeno sino a che riesci a mantenere la lucidità, l’intelligenza.
Giorgio Gaber diceva in “Quello che perde i pezzi”: Alla fine mi è rimasto un gran testone e un testicolo per la riproduzione.
Sinceramente non saprei dire, e spero di non scoprirlo mai, cosa succederebbe se, invece, il cervello cominciasse a non funzionare come prima.
Così, a freddo, senza essere direttamente coinvolto, direi che un uomo è tale, sino a che è in grado di pensare, anche se non mi sento di sostenerlo come certezza assoluta, perché noi non siamo solo intelligenza, siamo anche sensazioni fisiche, che spesso si tramutano in sofferenza o in felicità nelle quali l’intelletto c’entra poco.
Sarà capitato a tutti di trovarsi in una condizione di beatitudine, solo per aver potuto godere del primo sole caldo dell’anno, magari stando sdraiato su una spiaggia, senza pensare a niente ma, anche, in altri casi,sentirsi in uno stato sgradevole sino a raggiungere il dolore fisico.
Sempre più mi rendo conto, andando avanti con l’età, di non essere solo cervello, malgrado quello che ho sempre pensato, ma che il corpo è una parte, non solo importante, ma a volte decisiva, per la qualità della vita e che certe sensazioni, in qualche caso, sono in grado di influenzare anche decisioni ragionate.
Insomma quanto di istinto, di animalesco, con tutto il rispetto per gli animali, è rimasto in noi, dopo millenni di evoluzione ed emancipazione della razza umana?
Difficile a dirsi, perché certi comportamenti sono difficili da definire in modo assoluto, alcune reazioni che abbiamo, quanto ci vengono da un ragionamento o almeno dal filtro della mente e quanto da un istinto che risponde solo ad un impulso irrefrenabile, sia in senso negativo che anche positivo?
Certe reazioni violente o certi slanci amorosi, spesso non ci danno nemmeno il tempo di pensare e finiamo per prenderne atto e giudicarli dopo che sono già avvenuti.
Riflettendo, quello che ho sempre ritenuto, il minimo irrinunciabile, per considerare l’esistenza meritevole di essere chiamata vita e soprattutto ancora degna di essere vissuta, sposta i suoi confini sempre più avanti e le richieste continuano costantemente a diminuire.
Continuando la riflessione, la conseguenza logica sarebbe che se sei vivo,qualunque sia la tua condizione, è comunque vita.
Chiarisco che questo è un pensiero assolutamente laico e che le convinzioni religiose non c’entrano niente e non influenzano per nulla il mio ragionamento.
Credo che quello che faccia la differenza, nel seguire questa strada e crederci profondamente, è l’opinione e l’importanza che ognuno da alla propria dignità.
C’è chi non potrebbe accettare di dover essere assistito in tutto e di non poter più fare niente da solo e non sopporterebbe di assumere un aspetto che di umano manterrebbe molto poco.
Ma c’è anche chi ritiene che qualsiasi condizione la vita ti abbia riservato è comunque dignitosa e degna di essere vissuta sino in fondo.
Non tanto perché è un dono di Dio, che, per chi ci crede, è fondamentale, quanto perché si tratta della tua vita, di una parte di essa e che avendo vissuto le altre, forse vale la pena di vivere anche questa.
Non c’è vergogna nella malattia, comunque ti riduca.
Non saprei dire cosa sia più giusto e in questo momento credo che sarei più portato a non accettare un eventuale degrado fisico sino a quel punto, ma domani la penserò allo stesso modo?
Quello di cui sono assolutamente certo è che si tratta di una scelta personale nella quale i medici non si devono intromettere, almeno quando si tratti di persone ancora in grado di ragionare, e devono, assolutamente, evitare qualsiasi ingerenza nel cercare di influenzare con la loro tesi.
Nessuno può decidere per te una cosa del genere ed è profondamente ingiusto, anche cercare di influenzarti in un senso o nell’altro, anche da parte di religiosi, perché la vita è tua e solo tu puoi sapere se, per te, vale la pena di continuarla ancora.
Amen. Così parlò Zarathustra. Ma che sono scemo, come mi è venuto in mente di mettermi a fare un discorso del genere?
La tastiera ci è andata da sola su quella strada e mi chiedo perché.
Sono ammalato, ma ancora sufficientemente autonomo, il tipo di malattia che ho non dovrebbe, almeno a breve, portarmi a una delle situazioni descritte e perciò anche a prendere una decisione di quel tipo.
Evidentemente in fondo al mio cervello, inconsapevolmente, covava quel problema irrisolto, che sentiva il bisogno di uscire allo scoperto e di essere affrontato.
L’ho fatto e come in quasi tutte le cose più importanti della vita, non sono riuscito ad arrivare ad una soluzione, che possa essere condivisa da tutti, ad una verità assoluta.
Più ci penso e più mi convinco, che non l’ho trovata perché non c’è, che nessuno può stabilire e definire quale dovrebbe essere il giusto comportamento per tutti, e chi tenta di farlo, magari per legge, anche se mosso da motivi etici ed in buona fede, commette una violenza, degna della peggiore dittatura.
Non si può regolare tutto per legge, perché l’uomo, in certe sue manifestazioni, non può essere catalogato o condizionato e, qualunque decisione prenda in questo campo, che riguardi se stesso, sarà comunque quella giusta.