giovedì 24 febbraio 2011

VINCENZO MONTELLA

VINCENZO MONTELLA
Benvenuto Vincenzo Montella e speriamo bene.
Ho visto la squadra ieri, ha vinto, ma, anche se qualche segno di ripresa, sia nel senso dell’impegno che delle posizioni in campo, si è potuto notare, non potevano avvenire  miracoli in due giorni.
Alcune scelte più logiche e meno dettate dalla simpatia e dai gusti personali,  si sono viste.
Parlare male di Ranieri ora, sarebbe veramente scorretto, ma alcune sue decisioni, per me, sin dall’inizio, sono sembrate incomprensibili per un allenatore di quella esperienza.
Molte cose gli sono state fatte passare perché è una brava persona è romano e romanista.
La decisione da parte dell’ Areoplanino, di reintegrare Doni, “resuscitare” Pizzarro e rimettere la squadra in campo con il modulo che conosce meglio, mi è sembrato un buon inizio per uno, che sarà giovane, ma sembra avere già le idee molto chiare.
Effettivamente Vincenzo, anzi da adesso Mister Vincenzo Montella, è poco che fa l’allenatore, ma di esperienza di calcio ne ha moltissima, avendo sempre giocato ad altissimi livelli e con allenatori importanti.
Ieri, la squadra non è che abbia fatto una bella partita, i giocatori sembravano molto tesi, ma, sicuramente, si è vista una grande volontà di fare bene e una logica nello stare in campo,coprendo molto bene tutti gli spazi.
Ma adesso comincia il difficile perché ci sono alcune situazioni che riguardano certi giocatori, che andranno sanate, vista la piega incomprensibile che avevano preso.
La situazione di Doni è veramente inspiegabile. Come è possibile che un portiere che sino a due anni fa veniva ritenuto uno dei migliori del nostro campionato, tanto da cominciare ad interessare il Milan che in quel momento doveva rinnovare, di colpo diventa il terzo portiere in ordine gerarchico?
Oltre a tutto, dopo qualche prestazione non perfetta, per via della sua generosità, visto che ha continuato a giocare infortunato al ginocchio da operare.
Il colmo è che, dopo l’operazione, praticamente non viene fatto rientrare più, perdendo non solo il posto di titolare ma anche quello di riserva.
Non so quello che potrà dare adesso Doni perché, essendo un brasiliano, dopo un esperienza del genere, non è detto che torni quello che era, ma, secondo me, sarebbe un delitto e oltretutto anche scorretto, non dargli una possibilità, per lui ma anche per la Roma.
Per ciò che riguarda Pizzarro, sinceramente è un mistero. Che abbia avuto un infortunio credo che non ci siano dubbi, ma non giocare per tre mesi di seguito….
e soprattutto una volta rientrato dal Cile, sembrava pronto e non giocava lo stesso, sino  a domenica scorsa.
Ieri Montella gli chiede di giocare, insistendo un po’, e gioca 90 minuti, benissimo.  
Quella che è ritenuta da molti tecnici italiani e stranieri la grande forza della Roma e cioè avere due centrocampisti centrali del valore di Pizzarro e De Rossi affiancati e vicini, che in Europa, di quel livello, ce l’ha, forse, solo il Barcellona, non si è più vista da quando se ne andò Spalletti e prima di ieri, perché, anche quelle volte che hanno giocato insieme, Ranieri posizionava spesso De Rossi a sinistra, per poter impostare la squadra con il 4-4-2 o con il rombo.
A me sembrava una pazzia. Anche se non bisogna mai dare troppo per scontate certe cose nel calcio, che appena ti distrai, ti dimostra esattamente il contrario.
Altro problema che dovrà affrontare Montella praticamente subito, sarà l’attacco e anche questo non sarà di facile soluzione,malgrado almeno quest’anno ci sono problemi di abbondanza e non di penuria di materia prima.
Se la squadra continuerà a giocare con il 4-2-3-1, a breve, o Borriello si impara a fare il lavoro da centravanti per quel modulo, oppure è molto più bravo Totti.
Contemporaneamente avendo comprato Borriello che  è giovane, sarebbe giusto puntare su di lui, anche se, secondo me la scelta, avendo Totti, non è stata felicissima, perché è un attaccante non molto compatibile, in una squadra che faceva del gioco manovrato la sua migliore qualità.
Insomma sarebbe stato l’ideale un Toni giovane, che ha giocato benissimo anche insieme a Totti, perché non si intralciavano minimamente.
Una bella gatta da pelare per Vincenzino, anche se, del lavoro del centravanti se ne dovrebbe intendere parecchio, visto che non ha fatto altro in tutta la carriera.
Inoltre, questa è una responsabilità di chi ha fatto la campagna acquisti, che avrebbe dovuto considerare che, se trattato bene in tutti i sensi, psicologico e tecnico, Totti può ancora dare tantissimo alla Roma e che perderlo non conviene a nessuno.
Sono però convinto che, con l’amicizia che lega Totti a Montella, l’esperienza da centravanti di quest’ultimo, la soluzione si troverà nell’interesse della Roma e di tutti gli interessati.
Tenete però presente che Borriello sarà giovane, forte, bello e fanatico, ma le medaglie di Totti non possono essere dimenticate, specialmente quando, sto notando che, corre come mai lo avevo visto fare, neanche da ragazzino.
Pro memoria per tutti:
Gol con la Roma: n. 250 – miglior cannoniere italiano in attività. - 6° di tutti i tempi in campionato.- e non è finita qui.


FRA’ DARIO,L’INSULTATORE UFFICIALE DEL CAVALIERE

Eccomi di nuovo a riportare un articolo di Marcello Veneziani. Si sarà capito che ho un debole per come scrive, soprattutto quando condisce il tutto con una buona dose di ironia.
Riporto quegli articoli che vengono pubblicati solo sul Giornale e non su internet sperando, così facendo, di riuscire a farli leggere a qualcuno in più.
Certo, alcuni che prende di mira non ne saranno felicissimi e lo avranno un po’ in antipatia, ma se leggete bene è tutto portato avanti scherzosamente e veri insulti o offese non ce ne sono.
Per lo meno non si avvicinano neanche lontanamente a quelli che si sentono da parecchio tempo rivolti a Berlusconi.
Buona lettura.
Cucù di MARCELLO VENEZIANI


FRA’ DARIO,L’INSULTATORE UFFICIALE DEL CAVALIERE

Ma cosa sarebbe la vita di Dario Franceschini senza Berlusconi? Lui si alza ogni mattina,si lava i denti e si pulisce gli occhialini,poi si mette il vestito buono con un chiodo fisso: all’una deve giustificare la sua giornata presentandosi davanti alle telecamere dei Tg a insultare Berlusconi. Non risultano altre attività o compiti diversi oltre quello di Insultatore Ufficiale di Berlusconi. Avrà pure i biglietti da visita con quel titolo. Forse è rimasto scosso, e magari menomato,dallo scontro elettorale con Berlusconi quando lui fu reggente del PD, poi perse,restò solo e finì autoreggente. Allora girava l’Italia a piedi pur di farsi beccare all’ora X del Tg e fare la sua gag contro Berlusconi. Andava a L’Aquila, ai confini della realtà, posava in camicina, fingeva di occuparsi della gente. Franceschini,notai una volta, sembra il fratello minore di Fini che ha studiato in seminario. Visi lunghi e stature affini, stessa cadenza emiliana e occhialini, stesso barbiere, ma timbro di voce modificato in oratorio; persino il cognome è la versione prolissa e francescana di Fini, analogo in capo e coda. Frà Dario è un riassunto italiano vivente: nonno fascista, padre partigiano, lui democristiano e sinistrese. Se ha una figlia velina è la famiglia-tipo.
Gli è rimasta la fissa di Berlusca e così ogni santo giorno esce dall’ordine dei franceschini e va in tv per dire al reo Silvio: dimettiti. Non è il solo,c’è una compagnia di giro di comparse dei Tg che vive di quei 22 secondi di teleinsulto col solito finalino: dimettiti. Anche tra i berluscones,ovviamente, c’è chi campa facendo in tv l’esorcismo inverso. Mi piacerebbe sapere cosa fanno dopo la comparsata questi figuranti, se c’è un pulmino della Rai che li raccatta, con la raccolta differenziata, li nutre e li deposita in appositi astucci porta-voci, riusandoli il giorno dopo. A volte in magazzino si riversa qualche figurante: è il caso, ad esempio, di Bocchino, finito nel contenitore opposto. Vorrei capire se dentro i franceschini c’è una sim card con questo programma oppure se sono umani degenerati in ripetitori automatici. Comunque la loro password è: berlusconi.   

martedì 22 febbraio 2011

ROBERTO BENIGNI

ROBERTO BENIGNI
Sento impellente il dovere e ancora di più l’impulso irrefrenabile di ringraziare Roberto Benigni, non tanto perché avevo avuto, alcuni giorni fa, l’ardire di pregarlo di non attaccare con la sua satira il capo del Governo e di guardarsi anche intorno che avrebbe trovato molto terreno fertile in altre direzioni.
Quella non era una reale invocazione per lui, era un grido diretto al vento e a quelli che avrebbero letto, causato da una serie di delusioni e che voleva  significare che ero certo che qualcuno di qualità ci fosse ancora, che avrebbe potuto farci vedere come si fa, se solo avesse voluto.
Sono certo che non ha neanche letto quello che ho scritto e nel caso, giustamente, non mi avrebbe dato retta e infatti, qualche frecciatina l’ha data, da una parte, ma, devo riconoscere, anche dall’altra, ma non è quello che importi.
Merita un  ringraziamento, a mio avviso, da parte di tutti,  per il MODO come lo ha fatto.
Infatti, tutto il suo intervento, che pure è stato piuttosto lungo, si è concentrato nel cercare di unire e non di dividere e anche quando ha usato l’ironia, non c’era mai malanimo, acidità, offesa, ma solo il gusto del divertimento. Secondo me, questa è la vera satira.
Rispetto a quello che si sente da parecchio tempo, una boccata d’aria pulita, pura. Ci voleva, se ne sentiva la assoluta necessità.
In Italia, solo lui, poteva fare un intervento di quel tipo che fosse, contemporaneamente, divertente e istruttivo.
Stare sul video, da solo, per un tempo così lungo senza annoiare, è qualcosa da fuoriclasse, quale egli effettivamente è, e la sua prestazione mi ha rafforzato nella convinzione che già avevo, che gli altri comici o satirici, presenti attualmente nel panorama televisivo e dello spettacolo in genere, sono di qualità veramente mediocre, per lo più di parte, ripetitivi, conformisti e non ne ricordo uno che abbia qualche idea veramente nuova, qualcosa di originale, anzi di solito sono mono maniaci.
Purtroppo mischiano l’ironia con la politica in modo rozzo e partigiano e facendo così, spesso, oltre a far ridere solo quel pubblico che la pensa come loro, non riescono, ma forse non vogliono, nascondere la volontà di far male, senza dirlo esplicitamente, dimenticando che il loro scopo principale dovrebbe essere quello di far ridere o almeno sorridere, più gente possibile.
Quasi sempre, secondo me, trascendono arrivando ad offendere anche in modo pesante, sempre nascondendosi dietro quella che dovrebbe essere satira.
“Siccome scherzo mi posso permettere di dire qualsiasi cosa anche la più turpe e oltraggiosa.”
Da sempre la satira ha attaccato e preso in giro il potere, è giusto, comprensibile e spesso divertente se è ben fatta, anche se non si capisce perché, quando chi ora è al potere, era all’opposizione, continuava ad essere il bersaglio preferito.
Ma fino a che si tratta di satira e ogni tanto si allarga il raggio di azione anche agli avversari, magari solo con piccoli accenni, è accettabile, ma quando il fine è di denigrare e dentro ci si legge una palese malignità, spesso addirittura odio, tutto a senso unico, a mio avviso non può essere giudicata satira e forse a una certa parte politica piacerà e si divertiranno, ma gli altri per nulla.
Viva Benigni e se penso a come aveva iniziato tanti anni fa….
Sembrava un po’ che facesse il verso a Woody Allen per una questione di somiglianza.
Nella realtà le qualità già si vedevano e  aveva una sua strada personale che si è sempre più consolidata, aiutata da una base culturale notevole e soprattutto accoppiando alla naturale ironia, un’umanità che, al contrario di quanto pensino alcuni che si credono suoi colleghi, ma secondo me non ne avrebbero il diritto, completa ed esalta le qualità naturali, anche quelle comiche, al contrario   del veleno che fa solo male e raramente fa ridere fino in fondo. 







venerdì 18 febbraio 2011

IL GRINTA

 IL GRINTA
Ne ho conosciute tante di persone nella mia vita sia direttamente, che per averle viste in televisione o per aver  letto di loro.
Ho avuto l’avventura di trovarmene di fronte molto intelligenti e meno, più o meno simpatici, lavoratori e scansafatiche, per bene e disonesti, santi e delinquenti, ingenui e furbi, sentimentali e freddi, ma negli oltre sessantacinque anni vissuti, più tutto quello che ho letto dei vari personaggi storici o meno, uno come Berlusconi, nel bene e nel male, a mio modesto avviso, non rientra in nessuna di queste categorie.
A parte la sua unicità, almeno per l’Italia, visto che, prima di lui, un imprenditore di successo, non era mai sceso in politica organizzando tutto in pochi mesi e riuscendo a vincere le elezioni, la cosa che sorprende di più, è che abbia resistito diciassette anni.
La storia più o meno, con varie interpretazioni, tutte di parte, la conoscono quasi tutti, e perciò, senza mettermi a sindacare i motivi per cui certe cose sono successe, cercherò di elencare solo i fatti.
Un fatto è che, da quando è sceso in politica, una parte della magistratura, in particolare i PM di Milano, hanno cominciato ad inviargli avvisi di garanzia per reati vari, alcuni dei quali, obbiettivamente, sembravano un po’ fantasiosi.
Infatti, una parte sono stati chiusi in istruttoria senza rinvio a giudizio, altri invece sono andati a processo e in alcuni è stato assolto, certi sono andati in prescrizione e attualmente ne sono rimasti quattro di cui, due, quasi sicuramente, andranno in prescrizione, uno, di natura fiscale è appena cominciato e un altro è stato definito ieri, per direttissima, e per i reati di concussione e sfruttamento della prostituzione minorile.
Come ho appena affermato, nessun commento,neanche sull’ultima incriminazione, in questa occasione, non voglio entrare nel merito delle imputazioni, né tantomeno, della correttezza nell’attribuirsi la competenza del processo, che, come sappiamo tutti, è discussa.
Ieri l’ho visto insieme a Tremonti partecipare ad una conferenza stampa sull’economia piuttosto lunga e mentre il giorno prima (quello del rinvio a giudizio), vedendolo in televisione, avevo avuto l’impressione che avesse un’espressione provata e preoccupata, oggi mi è sembrato lucido, sereno e anche di un discreto buon umore.
Sono partiti parlando del già fatto, per andare a chiarire quello che intendano fare da ora in poi e perciò tutti orientati sul futuro.
Ed è qui che si può notare e verificare la vera anomalia del nostro Premier.
Non da segni di cedimento. COME FA A RESISTERE?
Mi sembra di averlo già detto, ma va sempre ricordato che, sarebbe nelle condizioni economiche di fare qualsiasi cosa gradisse e potrebbe, anche domani, andarsene dovunque a godersi quello che gli resta della vita, tra l’altro, probabilmente, applaudito e con un grande sospiro di sollievo, da tutti i suoi avversari politici, che non vedono l’ora che si tolga di mezzo e non lo nascondono affatto. (“Le cagnette a cui aveva sottratto l’osso”).
Invece oggi sembra che stia dando ulteriore impulso all’azione di governo spingendo la riforma della giustizia.
Si poteva pensare che l’ultimo colpo della magistratura l’avrebbe abbattuto e lui risponde rilanciando l’azione del Governo e mettendo le basi per andare fino alla fine della legislatura.
Il numero dei processi iniziati contro di lui (sentivo l’altro giorno parlare di ventotto, ma non ne sono certo), sono talmente tanti, rispetto a tutti gli altri, che verrebbe logicamente da pensare che si tratti o di accanimento o del Nemico Pubblico N°1, perché penso che neanche Riina, Provenzano o Vallanzasca abbia avuto tanti rinvii a giudizio.
Bisogna tener presente che in Italia i magistrati, quando fa loro comodo, per giustificare un rinvio a giudizio che appare non tanto convincente,  si nascondono dietro alla obbligatorietà dell’azione penale.
La realtà non è questa, infatti teoricamente l’obbligatorietà c’è per legge, ma in pratica, giornalmente, non potendo seguire tutti i processi, specialmente i PM scelgono chi mandare a giudizio e chi no, facendo andare in prescrizione quelli trascurati e decidendo anche quali vedano accelerati e quali meno.
Ma tornando al Premier, ad eccezione dei suoi e anche di Bossi, come apre la televisione sente solo uomini politici di qualsiasi partito che dicono tutti la stessa cosa con una monotonia senza precedenti: “Deve fare un passo indietro”.
Viene il dubbio che, o alle spalle sappiano che c’è un precipizio, o qualcuno li ha convinti che con la costanza si ottengono più risultati che con l’intelligenza.
Nel campo dello spettacolo, che non è poi così lontano dalla politica, questo modo di esprimersi, si chiama “tormentone” e, la parola stessa, dovrebbe dare un’idea di quello che provano i telespettatori a sentire sempre le stesse frasi.
In questi giorni alcuni organi di stampa stanno dando più rilievo ai colleghi stranieri, cercando di farlo mettere in ridicolo e con lui naturalmente tutto il Paese.. Muoia Sansone con tutti i Filistei.
Certo non gli farà piacere, ma non mi sembra che anche questo sistema ottenga il risultato di deprimerlo, al punto da lasciare.
Tornando all’uomo, che è sicuramente particolare, comunque uno lo voglia giudicare, per reggere a tutto questo, ci vuole una forza interiore, una volontà e una convinzione nelle proprie possibilità o capacità, senza la quale, chiunque altro, avrebbe mollato.  Non sono necessariamente tutte qualità, ma sono anche difetti che però sono necessari a resistere.
Oppure per chi lo giudica tutto il male possibile, pensa che per comportarsi così ci vuole una testardaggine, degna di miglior causa, ma provocata dalla sua impossibilità a lasciare, per interessi personali.
Questa spiegazione la lascio a quei pochi che ancora la sostengono che sono sempre di meno, anzi credo che sia rimasto solo Di Pietro e suoi.
Detto questo, non facendo di mestiere l’indovino, non so come le cose andranno avanti e soprattutto quale e se ci sarà un punto di arrivo.
Quello che credo è che Berlusconi se non ha mollato sino ad ora, con quello che gli è appena successo, dubito che lo farà in seguito, qualunque cosa il futuro gli riserverà perché, ma questa è una mia opinione personale, quando si ha un carattere di quel tipo niente e nessuno sarà capace di cambiarti.
Come uomo politico il giudizio è sicuramente controverso, infatti c’è chi odiandolo non gli riconosce alcun merito, chi si aspettava di più e pensa che sia una delusione e chi, invece, lo ama e gli riconosce molti meriti e per le cose che non è riuscito ancora a fare, gli concede importanti attenuanti.
Naturalmente questo è  fondamentale per il giudizio sul personaggio,visto che è quello a cui si è dedicato negli ultimi anni, e farà la differenza su come nel futuro sarà ricordato.
In questo momento però, personalmente sono colpito più di tutto  dall’altro aspetto del suo carattere, che predomina su tutte le altre sue prerogative che non sono poche; magari non sarà così importante qualitativamente, ma sicuramente lo contraddistingue nel modo più completo.
Una grinta così io non l’avevo mai vista in nessuno, neanche in personaggi diventati  leggendari per quella prerogativa.
C’è chi dirà che dovrebbe essere usata per una causa migliore, io non lo so, quello che so per certo, è che chi ha dentro di sé una forza così, può, se vuole veramente, raggiungere qualsiasi traguardo,malgrado navighi in mari pieni di trabocchetti e di traditori e dove la falsità e l’interesse sono il liquido amniotico nel quale si galleggia per sopravvivere.
Senza fare il tifo per nessuno, credo che se dovesse veramente continuare a  mettercela tutta, senza retrocedere di un passo, come sembra fare  in questo momento, merita di riuscire e gli osservatori neutrali lo dovrebbero aiutare anche nel loro stesso interesse.




 

UNA LUNGA STORIA - CAPITOLO 2°


UNA LUNGA STORIA - CAPITOLO 2°

Sono nato a Roma ma sono di origine sarda, anche se mi sento tutto romano e poco sardo. Le poche volte che sono stato in Sardegna, per vacanza, non mi sono riconosciuto, come carattere, nel tipico sardo, ammesso che, trattandosi di persone, la parola tipico, abbia un senso.
La mia famiglia paterna si trasferì dalla Sardegna a Roma per fare “fortuna”, intorno al 1915, erano una tribù,formata da  marito, moglie e 5 figli, quattro maschi ed una femmina, più qualche parente acquisito, al seguito. Tra cui Zio Tigellio e zio Ennio,  fratelli di nonna, che  andarono in guerra, fortunatamente tornando entrambi vivi. Mentre nonno, essendo l’unico sostentamento di una famiglia numerosissima, rimase a lavorare.
Il sesto figlio, che poi era mio padre nacque a Roma nel 1921 e per questo motivo fu chiamato Umberto Romano.
 
Mio nonno, Ettore, che, per l’epoca, doveva essere particolarmente avventuroso, quasi un pioniere, malgrado fosse un uomo nato nel 1881, si dette subito da fare a cercare attività redditizie, sino a mettere su una ditta di Pompe Funebri, che divenne una delle più importanti di Roma, senza che questo,almeno a quanto mi risulta, lo imbarazzasse minimamente,visto che riteneva, secondo me  giustamente, che qualcuno doveva farlo e che nessun lavoro, se è fatto bene e onestamente può essere considerato degradante.
Così riuscì a far vivere bene tutta la famiglia, compresi i parenti acquisiti, le nuore, i generi, i nipoti, i cognati gli amici e tutti quelli che avevano l’avventura di passare per casa nostra che, vi assicuro, erano proprio tanti.
Almeno fino a che non cadde in disgrazia, dopo qualche anno dalla fine della seconda guerra, non tanto per sue colpe, quanto perché non riuscì ad organizzare una reale continuità alla Ditta, attraverso i figli, che presero ognuno la propria strada, ritenendo spiacevole e non dignitoso fare quel lavoro. (col senno di poi…..che sbaglio!!). Pensate che prima della guerra, i titolari delle due ditte di Pompe funebri più importanti di Roma , per chi è di qui, lavoravano per nonno.
Famose rimasero alcune scenette tragicomiche nei funerali, specie nei momenti in cui si andava a sistemare la salma e era presente uno dei figli.
Per un motivo o per l’altro, dalla dimensione della cassa, dall’aspetto del defunto, al suo abbigliamento, senza naturalmente farsene accorgere dai parenti in lacrime, di solito, finiva con scoppi di risa irrefrenabili, ma necessariamente trattenute.
Il gusto dell’ironia macabra che è stato, il pezzo forte di molti comici ma che, in quelle occasioni, essendo spontaneo, sembra che facesse ridere ancora di più.
Come dicevo, la casa di nonno, per anni, fu un porto di mare, sempre piena di ospiti piccoli e grandi, tutti molto rispettosi di questo anziano signore, che poi tanto anziano non doveva essere, che si dimostrava severo ma anche tenerissimo specialmente con i nipoti.
Mi ricordo che quando nonno parlava al telefono o dormiva, nella enorme casa, che normalmente era molto rumorosa, si faceva un silenzio di tomba e quando, in qualche modo, era disturbato, per punire qualcuno, invece di inveire o usare le mani, lanciava loro addosso dei fazzoletti.
Ero piccolissimo, ma lo rammento come si potrebbe ricordare una poesia che ti è tanto piaciuta da bambino.
Io vissi lì, con i miei, i primi cinque anni della mia vita e il ricordo che ne ho è molto nebuloso.
Ricordo una grande giardino nel quale passavamo la maggior parte del tempo, qualche cuginetto più grande molto dispettoso, l’affetto di nonna Titina, che pure essendo sardissima, se la dovessi rappresentare secondo il ricordo che ne mantengo, l’unica immagine che mi susciterebbe, è quella della classica matrona romana, della chioccia, protettiva sino all’inverosimile e poi  un cane simpaticissimo, meticcio quanto intelligente, Filippo, le cui avventure sia casalinghe che esterne richiederebbero un capitolo a parte e che stava in casa dove lo aveva lasciato zio Bebo che era in giro chissà dove.
La storia di nonno e nonna non ebbe un bell’epilogo perché lui si prese una sbandata per un’altra donna più giovane e lei ne soffrì moltissimo, sino a colpevolizzarsi per essere invecchiata, al punto di decidere di fare un operazione chirurgica per la rimozione del grasso superfluo specialmente sulla pancia.
Tutti, dal marito ai figli, la sconsigliarono di fare un intervento che, all’epoca, era piuttosto rischioso, considerando che si trattava dei primi anni ’50.
Ma lei non pensava ad altro che a riconquistare il marito e avrebbe fatto qualsiasi cosa per questo e così fece, purtroppo, nessuno la potette fermare.
Morì in clinica per complicazioni post operatorie. Credo che non avesse compiuto sessant’anni.
Certo che le donne erano un po’ diverse dalla maggior parte di quelle attuali,ma devo dire anche gli uomini.
Per definire in cosa erano meglio e in cosa peggio credo che ci vorrebbe un libro a parte,quello che posso dire, senza però approfondimenti, è che l’amore almeno in altissima percentuale o era quello vero, per il quale si può anche morire o non era affatto.
Per quanto riguarda gli uomini, erano senz’altro meno fedeli, più autoritari, patriarcali, ma, nello stesso tempo, molto più affidabili. All’epoca era normale parlare di onore, di correttezza e di protezione della famiglia. Almeno, in una buona percentuale, anche se questa è un’opinione  influenzata, un po’ troppo , da quelle che sono state le mie conoscenze.
Dopo quella tragedia Nonno fini, non so quanto convinto, per sposare la donna per cui aveva lasciato nonna, adottandone anche una figlia e visse in povertà, con la sola pensione, in un appartamento sino alla sua morte che avvenne all’età di 81 anni nel 1962.
Il più grande dei figli, Antonio detto Nuccio, nato nel 1901, (pensate che mio padre,il più piccolo, era del 1921 e perciò gli sarebbe potuto essere figlio) fu un fascistone della prima ora e fece carriera nella Milizia sino ad arrivare al grado di Colonnello, anche se, a detta di tutti quelli che lo hanno conosciuto, non macchiandosi di alcuna delle malefatte che hanno caratterizzato il comportamento delle squadracce in quell’epoca.
Ricordo che la figlia Luciana, mantenne per anni, fino alla sua morte, con orgoglio, un articolo di giornale nel quale, un famoso regista cinematografico e televisivo, notoriamente comunista, raccontava una storia nella quale gli era stata salvata la vita solo per giustizia e generosità, da un fascista, che altri non era che mio zio Nuccio, nominandolo.
Gran puttaniere e conquistatore di donne, si trovò spesso nei guai per quel motivo, avendo una moglie gelosissima, ma non particolarmente attenta nel cercare di mantenersi un marito con quelle inclinazioni  e in più, essendo  appassionato di recitazione, frequentava spesso attrici famose, con le quali intraprese anche relazioni intime.
Dopo la caduta del fascismo ebbe molti problemi anche con la giustizia, malgrado, a quanto sembra, fosse del tutto innocente, come poi gli si riconobbe, ma in quegli anni sono successe cose, non sempre giustificate, sulle quali ancora non è stato possibile parlare in senso strettamente storico, senza essere ancora influenzati da interessi di parte.
Dopo tutti questi anni trascorsi,l’unica cosa che mi sentirei di dire, essendo abbastanza convinto di non scostarmi troppo dalla realtà, è che tra le persone, c’erano buoni e cattivi da tutte e due le parti, pur ammettendo che la parte dei fascisti era nel torto e ci ha portato tutti verso la rovina.
Dopo la guerra e le vicissitudini che ne seguirono, si trovò privo di tutto e  si arrangiò a fare lavori di vari tipi, da importanti, perché era uomo di grandi qualità intellettuali, a umili, sempre però riuscendo a tirare avanti, anche se spesso aiutato economicamente da nonno, da  mio padre e dalla figlia. Quelli erano anni nei quali tutti ci si arrangiava un po’, in un paese poverissimo, appena uscito da una guerra disastrosa.
Per un certo periodo frequentò casa nostra quando ancora mamma e babbo, pur non andando d’accordo, si tolleravano e poi andava a trovare nonno che abitava vicino a noi e spesso se ne andavano insieme al cinema del quartiere, dove nonno aveva l’abbonamento e ogni volta che andava con lui pretendeva di far passare il figlio con il prezzo ridotto. ( aveva quasi 60 anni).
Ricordo quelle poche volte che ci andai anche io, il divertimento del cassiere che ormai, entrato nel gioco,  partecipava al tormentone, divertendosi anche lui. Quel giorno fece passare anche me come ridotto.
Spesso trascorrevamo interi pomeriggi insieme ed io circa quindicenne, che avrei dovuto studiare, mi divertivo a provocarlo con domande, le più difficili possibili, essendo un uomo che, pur non avendo fatto studi regolari, era molto colto e sapeva un po’ di tutto.
Mi piaceva provocare una discussione, nella quale potermi misurare con lui, con argomentazioni sempre più complicate, per vedere sino a che punto riuscivo a tenergli testa.
Lui ci stava, anche se era troppo intelligente per non capire che volevo solo mettere alla prova sia lui, che soprattutto me. In quel periodo si istaurò un legame affettivo tra noi, che trascendeva il rapporto zio,nipote.
La sua vita amorosa fu particolarmente travagliata, in quanto si separò abbastanza presto dalla moglie che non poteva più tollerare i suoi tradimenti che non si preoccupava più neanche di nascondere,e dopo una serie innumerevoli di avventure, ne ebbe una  che lo segnò sino alla morte.
Si innamorò di una ragazza giovanissima, poco sopra i vent’anni, amica della figlia più grande. Tra di loro ci fu una passione travolgente che non durò tanto ma  produsse un figlio e, purtroppo, la ragazza, malgrado fosse diplomata ostetrica, morì di parto.
Non lo sentii più parlare del fatto, né citare la persona, ma da allora ebbi la netta sensazione che con le donne avesse definitivamente chiuso. 
Nell’ultimo periodo, economicamente, si trovo un po’ meglio, perché  era un momento in cui il cinema italiano tirava forte e lui, a cui era sempre piaciuto recitare, riuscì a trovare alcune piccole partecipazioni, anche con l’aiuto della figlia, che come vedremo era del campo, nelle quali era piuttosto bravo.
Purtroppo morì abbastanza giovane di qualcosa di simile all’ictus e ricordo l’ultima volta che lo vidi in un letto di ospedale, in coma. 
  • Sono Stefano, gli dissi stringendogli una mano e lui, che sembrava inerte, abbozzò una specie di sorriso e mi strinse la mano ancora più forte.

Non lo potrò mai dimenticare.
Sul secondo dei fratelli, Piero,(1902), le notizie sono un po’ più vaghe in quanto è stato più il tempo che ha trascorso lontano dalla famiglia che quello  con noi.
Era di un anno più giovane di Nuccio, ma, molto diverso di carattere ,inoltre, a poco più di vent’anni era già vedovo, risposato e con una figlia avuta dalla prima moglie.
Della prima moglie ho potuto vedere solo fotografie e da quelle sembrava bellissima, la seconda forse anche di più, perché, oltretutto, era anche una signora di un certo livello sociale.
Tutto ciò, solo per sentito dire, però, perché io l’ho conosciuta bene solo quando, ultra settantenne, tornò in Italia per un certo periodo, dopo il trasferimento in Venezuela con le figlie.
Devo dire che era ancora bella e molta in gamba. Manteneva un portamento e un’eleganza innata che ne confermavano l’aspetto da gran dama. Ma questa è un’altra storia.
Zio Piero, comunque, nei racconti ricavati dai vari parenti, cominciò come stenografo in un ministero, fu assunto all’AGIP, per la quale lavorò, molti anni in Africa,facendo una notevole carriera, trascurò moltissimo la famiglia e quando rientrò in Italia andò ad abitare a Genova seguendo l’AGIP, senza la moglie che nel frattempo, era espatriata in Venezuela, con le due figlie, che  avevano trovato il tempo di mettere al mondo, malgrado i due fossero stati pochissimo insieme, soprattutto per colpa di lui che, oltre ad essere lontano per lavoro, era facile alle distrazioni quando c’era in zona qualche bella donna.
La sua gioventù, trascorse frequentando palestre di boxe, nella quale pare che fosse piuttosto bravo visto che vinse una certa quantità di premi da dilettante, quel tipo di ambiente che non era proprio l’elite della borghesia romana e una quantità imprecisata di donne.
Insomma sembrava che dovesse diventare un ragazzaccio e prendere una cattiva strada, malgrado la famiglia lo controllasse quanto  era possibile.
Ma,molto presto, appena finita l’adolescenza, fu chiarissimo che, i suoi interessi erano tutti rivolti al lavoro e al guadagno ed essendo anche lui, come suo padre, avventuroso, appena ebbe l’occasione di andarsene in Africa, non ci pensò un momento, malgrado lasciasse una famiglia qui.
Di avventure in Africa, specialmente sessuali, dopo anni qualcuna ce ne raccontò, anche se la maggior parte irriferibili.
Ma l’Africa gli servi soprattutto come trampolino per una carriera velocissima e per una maturazione che forse, restando a casa, non avrebbe avuto almeno nello stesso modo.


L’uomo come carattere era molto ironico, ma anche molto concreto sul lavoro e accorto finanziariamente.
Malgrado questo, pressappoco verso la fine della guerra, pur essendo riuscito ad arrivare al grado di Direttore, per un colpo di testa, si licenziò dall’AGIP, intascando la liquidazione, immaginando che con quella cifra avrebbe potuto realizzare una sua attività in proprio, ma non prevedendo che, di lì a poco, quel denaro, per colpa della svalutazione, non sarebbe valso quasi più niente, si ritrovò, a circa 45 anni, senza una lira a dover ricominciare da capo.
In conseguenza di ciò, potrebbero seguire una serie di racconti, non so quanto sceneggiati, su lavori intrapresi per tirare avanti, come il pescivendolo al porto di Genova, con episodi esilaranti di vendite di pesce di diversi giorni, truccato per sembrare freschissimo e altri più o meno ameni.
Fatto sta che dopo pochi anni riuscì a creare una fabbrica di Pitture Marittime, che chiamò con grande fantasia  PI.MAR. (Piero Marrosu) e che gli diede da vivere molto bene, sino alla morte, anche dopo averla chiusa.
Il tutto sempre intrecciato con qualche storia di donne, che almeno sino ad una certa età, si rinnovavano come vestiti nuovi.
Rimasero famosi i suoi brevi ritorni a Roma, a ritrovare la famiglia, nei quali amava dare la sensazione dello zio d’America, invitando a cena tutti i parenti, che erano veramente tanti, circondandosi di belle giovani nipoti che teneva sempre vicine, senza secondi fini, solo per il piacere di avere una bella ragazza accanto, che in genere spingeva a mangiare il più possibile, in contrapposizione  a lui che invece mangiava come un uccellino. Si beava nel guardarle. 
I problemi incominciarono quando, essendo un grande fumatore, come d’altronde anche gli altri fratelli, iniziò ad avere guai molto seri di enfisema polmonare.
Ricordo un anno in cui andai ospite a casa sua a Genova, in una villetta di sua proprietà, le sue condizioni fisiche al rientro a casa, che come seppi in seguito, derivavano dall’aver appena avuto un rapporto sessuale con una sua amante, erano impressionanti.
Praticamente gli mancava completamente l’aria, era come un attacco d’asma la cui durata era molto più lunga del normale. Tutto sudato, il volto scavato, gli occhi di fuori, una cosa da spaventare, che lui con me sdrammatizzò, ma che io riconobbi per gravissima, considerando che da bambino avevo sofferto di asma bronchiale e perciò ne avevo un idea abbastanza precisa.
Questa situazione lo convinse a lasciare il lavoro, a smettere di fumare sigarette, ma non la pipa, che fumò fino alla fine, di andare ad abitare, prima con la figlia più grande, che stava a Genova, presso la quale però per un tipo estroverso e godereccio come era lui, malgrado la malattia, si trovò malissimo, pur circondato dall’affetto e preferì andare ospite dal fratello Bebo a Roma, con il quale faceva una vita molto più divertente nei limiti di quello che gli permetteva il suo fisico e dove rimase fino alla morte.
Purtroppo la figlia Lori, avuta dalla prima moglie, pur essendo molto affezionata al padre, una brava donna, non molto brillante,  soprattutto troppo seria per i guasti del padre, era oltretutto afflitta dall’essersi scelto un marito professore di matematica, se possibile anche più serio di lei, con un notevole difetto di pronuncia che lo faceva sembrare, pur non essendolo, un po’ ritardato ed aver concepito un figlio con tutti i difetti del padre accentuati ma con molti meno pregi.
Potete immaginare se in un posto così, con tutto l’affetto del mondo, un uomo come zio Piero, avrebbe potuto resistere.
Era anziano, malato, impossibilitato a fare molte cose se non misurandole attentamente, ma sprizzava vita da tutti i pori lo stesso.  
In quegli anni di Roma, ebbi modo di conoscerlo molto meglio e devo dire che i due fratelli, entrambi molto simpatici e ironici erano uno spettacolo insieme e lui, che ormai non era certamente più in grado di andare con una donna, non perdeva occasione, se capitava, di provarci lo stesso, solo per il gusto di farlo senza l’idea di concretizzare, naturalmente.
Ricordo che molto elegantemente e discretamente ci provò pure con Rita, non in un modo sgradevole da vecchio porco, ma mantenendo classe ed eleganza, e Rita, come mi raccontò, non ebbe una sensazione di repulsione, almeno non lo disse mai, semmai di tenerezza, data la grande differenza di età, sentendosi però, anche un po’ lusingata, perché l’uomo era ancora molto fascinoso.
Ricordo i pomeriggi seduti al bar sotto casa a guardare e spesso scherzare, perché riusciva a creare un rapporto di conoscenza con qualche ragazza della zona. Spalleggiato anche da zio Bebo che, da questo punto di vista, era addirittura più pronto di lui, ma che lo faceva per divertire il fratello. Rammento il  giochino che gli piaceva fare, un po’ vanitosamente, stando seduto sulle sedie metalliche del bar, tirava su le gambe a squadra tenendosi ai braccioli con le mani e questo sino a quasi 70 anni.
Morì malissimo, per mancanza di fiato e purtroppo, avendo un fisico ancora molto forte, durò molto, fino a che resse il cuore e non fu un bello spettacolo da vedere, quest’uomo che era stato grande in molti sensi, sbattuto in un letto di ospedale con la bocca spalancata alla ricerca dell’aria che non sarebbe arrivata, per giorni e giorni.
Sinceramente, un po’ vigliaccamente all’ultimo, non lo andai più a trovare. Avevo molti impegni di lavoro, per la verità, ma forse avrei trovato un po’ di tempo per andare, ma lo spettacolo era così crudele, molto vicino ai peggiori incubi che uno possa avere che, sapendo che non avrei potuto confortarlo in nessun modo, preferii evitare a me e anche a Rita un dolore del genere.
Così finì Pierino, “lo svelto”, perché questo era il suo soprannome da ragazzo, piccolo, per altezza, grande uomo,grande lavoratore, grande comunista convinto, intelligente, al punto che riuscì per anni ad andare d’accordo con il fratello Bebo che, pur non essendo fascista, era decisamente anticomunista.
Quelli erano anni in cui lo scontro politico si faceva sempre più acceso e che c’erano i morti per le strade.
Sul terzo fratello, Mariano non ho molto da dire, l’ho frequentato abbastanza poco, era l’unico che fece studi superiori essendo infatti laureato in economia, era famoso per essere molto forte fisicamente e con un carattere litigioso e si raccontavano scazzottate mitiche, sia da giovanissimo che anche da uomo maturo, a un paio delle quali ho assistito personalmente, infatti da giovane fece anche un po’ di pugilato professionistico senza però continuare essendo i suoi interessi ben altri.
A proposito del carattere e della sua indole un po’ litigiosa, ricordo ancora il ritaglio di giornale con la descrizione di un romano, a Rimini, che aveva, da solo, vuotato un locale frequentato da ragazzi con la sua foto riportata nella quale metteva in mostra una struttura fisica notevole e naturale.
Bisogna ricordare che a quell’epoca e ancora sino almeno a tutti gli anni ’60, si poteva fare anche a   "botte” per strada perché non rischiavi che qualcuno tirasse fuori un coltello o addirittura una rivoltella come ora, ancora tra gli uomini si parlava del senso dell’onore e di affrontarsi ad armi pari. 
In famiglia passava per avarissimo ma con me non lo fu, quando andai ospite da lui a Milano, dove si era trasferito seguendo il lavoro alla Shell, anzi si dimostrò generoso per tutto il tempo che  rimasi.
Era sfottuto dagli altri fratelli, essendo l’unico della famiglia ad avere la pelle olivastra e lo chiamavano il giapponese sempre attenti a non stargli a portata per evitare la partenza di qualche schiaffone.
Ricordo, dopo tanti anni, lui era già un uomo sui 60, quando babbo, zio Bebo ed io partimmo di notte in macchina per raggiungerlo a Bergamo, dove nel frattempo si era trasferito, perché ci era stato detto che aveva avuto un grave infarto.
  Nell’entrare nella stanza dell’ospedale zio Bebo, finto tonto,appena lo vide, disse:        
  • Abbiamo sbagliato stanza, qui c’è un giapponese incinto che non conosco.
Ho ancora negli occhi zio Mariano, in pieno infarto, iniziare a ridere senza riuscire a fermarsi, tenendosi il pancione che ballava mentre lui era immobile supino nella lettiga.
Altra avventura quella notte, fu trovare l’ospedale, per tre romani che chiedevano informazioni a dei bergamaschi.
Come stare all’estero senza conoscere la lingua, alla fine dovemmo andare in una stazione della polizia perché c’eravamo persi.
Comunque quell’infarto fu superato, ma per poco, perché non visse ancora a lungo e il secondo purtroppo se lo portò via ancora relativamente giovane e lasciò un’ex moglie, una compagna e due figli avuti dalla prima.
Anche lui era un uomo complicato e pieno di contraddizioni, intelligentissimo e simpatico quando voleva, con sempre la parola pronta, litigioso in certi casi e duro con chi o non gli era simpatico o comunque riteneva che lo meritasse, ma una chioccia come nonna, con i figli, specialmente uno dei due, che gli dette problemi tutta la vita.
Dovette toglierlo spesso da guai sia di natura finanziaria che anche per la frequentazione di ambienti malavitosi nei quali si era infilato per problemi economici, ma zio quando si trattava di salvare il figlio diventava una belva e, dato il tipo, anche ambienti come quelli, lo stavano a sentire.
Infine riuscì attraverso le sue conoscenza a farlo entrare in una Banca e pur rimanendo un po’ inaffidabile fu almeno abbastanza circoscritto.
Il fratello non gli dette particolari grattacapi almeno fino a che visse. Sulla vita successiva, ci sarebbe molto da dire, ma anche questa è un’altra storia
La quarta era l’unica femmina, zia Paola, di cui so pochissimo in quanto le frequentazioni sono state veramente poche, essendosi sposata con un uomo che non andava d’accordo con la nostra famiglia e a dir poco era almeno particolare e sinceramente non ricordo episodi che caratterizzino la personalità di mia zia, degni di essere raccontati. A parte il viziaccio di litigare con il marito e tornare alla casa materna lamentandosi, sistema che sicuramente non ha facilitato i rapporti tra il marito e tutta la sua famiglia.
Ebbe tre figli ed anche lei morì relativamente giovane di cancro,intorno a 70 anni. Sui tre cugini, se ci sarà occasione, parlerò quando descriverò dei  contatti diretti con loro.
Quello che posso dire è che iniziai a frequentarli che già ero grande.
Per raccontare la storia di Arnaldo detto Bebo, detto “il misterioso” , ci vorrebbe un capitolo a parte per quello che è stato il personaggio e perché sicuramente l’ho frequentato molto più degli altri, anche di mio padre, riuscendo naturalmente a conoscerlo meglio e ad avere con lui un legame più profondo.
Era il più vicino per età a mio padre, avendo solo 8 anni di più e, nonostante ciò, zio Bebo  gliene, sopravvisse 16.
Era chiamato il misterioso perché non si sapeva mai dove fosse o dove andasse  quando usciva e, questo, fin da bambino.
Di gran bell’aspetto e con la parola sempre pronta sia alla battuta spiritosa sia al discorso serio, era uomo che, pur avendo frequentato solo le scuole superiori, aveva letto di tutto ed aveva una cultura vastissima, ma all’epoca non era infrequente, perché il numero di non laureati, anche tra gli autori importanti, era notevole.
Ma soprattutto era naturalmente simpatico e sempre pronto allo scherzo e al sorriso.
Anche lui con una vita contrassegnata dalle tante donne, sicuramente più di tutti gli altri fratelli che già non si erano fatti mancare niente.
Iniziò abbastanza giovane a lavorare per il cinema ed anche per qualche giornale, avendo una notevole capacità  e facilità nello scrivere. Senza mai raggiungere il vero successo, lavorando spesso in collaborazione con sceneggiatori, alcuni dei quali famosi, come “negro”, cioè quello che scrive ma non mette la firma.
Ma il fatto che frequentasse gente del cinema comprese attricette, per un ragazzo come me,rappresentava un particolare fascino, aggiunto al fatto che lui personalmente era particolarmente fascinoso, un grande affabulatore ed anche molto affettuoso con me.
Ma tornando indietro, pur non essendo tanto simpatico a mia madre, che è stata sempre convinta che avrebbe portato sulla cattiva strada babbo, cosa assolutamente contraria alla realtà, in quanto semmai gli ho sempre sentito fare discorsi prudenti a quello, che lui riteneva il suo fratellino da proteggere,frequentava la nostra casa fin da quando io ero piccolissimo ed avevamo appena lasciato la casa di nonno.
Mi chiamava sciaboletta, essendo io, all’epoca, e per molti anni dopo, magrissimo, e mi portava spesso attrezzi di scena, come spade finte e pistole portate via da qualche set cinematografico.
Ricordo che una di queste spade l’ho conservata sino a pochissimo tempo fa e cioè almeno cinquanta anni.
Non guadagnava molto, soprattutto non continuativamente e spesso riusciva ad avere qualche aiuto da babbo, che pur essendo anche lui abbastanza povero, aveva almeno uno stipendio ed un impiego fissi,ed in più arrotondava le entrate, facendo un secondo lavoro, il rappresentante di medicinali.
Bebo si sposò giovanissimo con una donna della buona borghesia più grande di lui di poco, contro il parere di molti della famiglia che non vedevano i due molto bene assortiti.
Ebbe una figlia, Patrizia, ma l’unione durò poco, perché lui, non si trovava bene e anche per  l’ambiente che frequentava. Conobbe piuttosto presto una donna della quale si invaghì e che lo fece decidere a lasciare la famiglia, andando ad abitare fuori Roma, per non farsi trovare dalla moglie, che era diventata ossessiva e che lo rimase per oltre 20 anni, almeno fino alla morte, inseguendolo dovunque e  facendogli scenate di tutti i tipi.
   Ricordo che dopo tanti anni  o dopo qualche scenata era solito dire:
  • Se l’avessi uccisa a quest’ora, sarei già uscito dalla galera.
L’ex moglie di zio Bebo era grande amica di mia madre e da questo fatto, potranno essere più chiare molte cose che racconterò in seguito.
Comunque lui andò ad abitare in una villetta lungo il litorale romano, dove d’inverno,nella zona, a quell’epoca, se non erano solo loro, poco ci mancava.
La nuova compagna, Livia, era anche lei un tipo dal carattere molto rigido e autoritario, meno che con lui, ma con tutti gli altri che la circondavano, specie se erano ospiti.
La loro casa in quell’epoca era molto frequentata, specie da gente del cinema, oltre che da noi, che ogni tanto, nei giorni di festa, andavamo.
All’inizio l’idillio tra i due fuggitivi era completo, grande amore corrisposto, poi, piano, piano, andò scemando ed ebbi la netta sensazione che avessero trovato un accomodamento, nel quale, lei gli permetteva qualche divagazione, a patto che, lui le garantisse una vita stabile.
Il fatto poi che non dormissero più nella stessa stanza avvalorava questa ipotesi, anche se, formalmente e di fronte agli altri, sembrava andassero d’accordissimo. In fondo hanno resistito insieme oltre venti anni.
Mamma anche in quel caso, dimostrò chiaramente qual era il suo carattere, facendo presente che lei non avrebbe mai potuto istaurare un rapporto di amicizia con la padrona di casa perché era troppo amica della prima moglie di zio e che perciò, tra loro ci poteva essere solo un rapporto formale e devo dire che l’altra, essendo anche lei tutta di un pezzo, capì benissimo, senza offendersi e adattandosi a questo stato di cose senza che si creassero attriti di alcun tipo.
Malgrado i timori miei e di babbo,in fin dei conti un accomodamento tra due pezzi di granito non si rilevò così difficile.
In mezzo a questi avvenimenti, la casa di zio nei giorni di festa si riempiva di gente, e spesso succedeva che lui sparisse con qualche attricetta giovane, per una passeggiata lungo le dune e di solito tornasse dopo ore.
Mentre Livia restava assolutamente indifferente occupandosi delle sue cose, mamma andava sul piede di guerra come se la cosa succedesse a lei, fino a che babbo non gli chiedeva di calmarsi e di occuparsi degli affari suoi.
Dava la sensazione di acconsentire, ma dentro di sé restava sempre all’erta.
Erano i favolosi anni 60 e il tanto decantato boom economico forse c’era, ma noi non ce ne eravamo accorti.
Di quegli anni, nei quali io nei periodi estivi, finita la scuola, ero spesso ospite loro, ricordo soprattutto cose piacevoli, giacché la compagnia di amici che frequentavo era veramente gradevole, intervallata da qualche amoretto giovanile, ma anche dal piacere di stare insieme.
All’epoca il mare vicino a Roma, almeno in quella zona, non era frequentato da tutti, come adesso, ma i villeggianti erano abbastanza selezionati.
Forse dipendeva da quello o forse gli anni 60 non erano solo un diverso periodo storico, erano proprio un altro mondo, nel quale certi eccessi, certe mancanze di gusto o di educazione, non erano ancora entrate nei comuni rapporti con la gente e quando, eccezionalmente, succedeva che qualcuno eccedesse in rumori o in maleducazione, era, per tutti, come un avvenimento speciale, di cui parlare a lungo.
L’unica cosa spiacevole era che Livia pretendesse di farsi fare dei servizi, tipo l’acquisto dei giornali o un po’ di spesa, ma soprattutto un paio di ore di trastullo giocando a carte, che per me all’epoca era una tortura, ma infondo mi permetteva di fare una vacanza che se no non avrei fatto e facevo buon viso a cattivo gioco.
E poi c’era Nicù, il cui nome “ufficiale” era: Nicolò Tobia Bambacione, il cane da slitta di zio, che, come alcune volte succede, era un po’ più di un cane e basta, era speciale per intelligenza, dolcezza con le persone che amava, ubbidienza, educazione,  serietà,ma anche  aggressività con quelli che riteneva nemici.
I ricordi maggiori che ho di lui erano le corse sulla spiaggia specie in inverno o nelle sere d’estate, nelle quali, lasciato libero, era capace di percorrere chilometri e chilometri, tornando, tutto contento, al punto di partenza invariabilmente, bastava aspettare. I bagni di mare che adorava sia in inverno che in estate.
In estate faceva il bagno con zio che per gioco si faceva trainare attaccato alla coda. Qualche episodio nel quale qualche garzone o visitatore incauto rischiò l’infarto per essere entrato dal cancello di casa  senza farsi annunciare e senza accorgersi che il cane era libero e qualche altro in mare, essendosi trovato muso a  muso con qualche ragazzo che, oltre ad aver paura dei cani, non era tanto sicuro in acqua.
Ripensandoci adesso era un periodo bellissimo, irripetibile. Le persone, salvo eccezioni rare erano tutte povere, ma non bisognose, le donne dovevano fare i salti mortali per far bastare i soldi per la spesa, industriandosi ad acquistare cose economiche che, cucinate bene, facessero bella figura, con una spesa bassissima, i rapporti umani erano……. appunto, umani. I principi di onestà e correttezza nella media della gente facevano parte della normalità e non c’era neanche bisogno di parlarne, perché erano scontati.
Si potrebbe pensare che dicendo queste cose c’entri molto anche la nostalgia per la gioventù e per un periodo un po’ idealizzato, ma sono certo che non sia così, si trattava di un mondo diverso, che chi non ha avuto la fortuna di vivere, ha difficoltà a credere.
Con questo non è che anche allora non ci fossero i delinquenti o gli imbroglioni, c’erano eccome, ma si trattava di minoranze, adesso ti meravigli quando trovi una persona onesta in tutte le sue manifestazioni.
La vita di zio Bebo, procedette in quel modo per molti anni, lui si sentiva libero, in quanto era sempre a Roma e rientrava a casa la sera, neanche sempre, e lei aveva la sua casa, la sua tranquillità che evidentemente era quello che desiderava.
Fino a che successe che, non ricordo perché, dovettero tornare ad abitare a Roma, ma soprattutto nel frattempo lui si era invaghito di una ragazza con circa 20 anni di meno, che faceva la tecnica cinematografica.
Tutto ciò fece precipitare gli avvenimenti perché lui lasciò la vecchia compagna per andare ad abitare in una casa a Trastevere, nella quale convisse con zio Piero per diversi anni.
La rottura con Livia fu netta, nel senso che ad un certo punto lui sparì totalmente dalla sua vita, anzi credo che non si siano più rivisti, cosa che nella sua storia si è spesso ripetuta, con le varie mogli o compagne.
Tutto ciò è derivato dal fatto di aver avuto sempre storie con donne molto orgogliose, a parte la prima, ed anche da una sua capacità di essere spietato nel chiudere un rapporto in modo definitivo.
Era in fondo un uomo buono, ma in questo lato del suo carattere non lo dimostrava molto, magari aveva i suoi buoni motivi. Sinceramente non me la sento di esprimere un giudizio che richiederebbe di entrare nell’intimo.
Nel frattempo, professionalmente le cose cominciarono ad andargli piuttosto bene, il cinema non tirava più, ma la televisione ed in particolare la pubblicità si.
Anche se il cinema, anche quello di serie B, al quale prevalentemente aveva partecipato, lo rimpiangeva un po’ perché molto più divertente.
Qualche volta ebbi l’avventura di costatarlo con gli occhi miei, perché, per affetto mi portò con sé per assistere a delle sedute di sceneggiatura di film non solo di serie B, ma di cappa e spada o mitologici.
Ci sarebbe voluta una cinepresa che per l’epoca non era nelle mie possibilità, perché lo spettacolo lo facevano loro, scrivendolo e non il film in se stesso, che aveva un valore molto relativo. Quello che risaltava di più erano i doppi sensi tra la bella e il culturista o trame umoristiche inventate lì per lì che non rispecchiavano affatto quello che sarebbe stato il lavoro finito.
In uno di questi casi conobbi un Sergio Leone giovane, sconosciuto e simpaticissimo, che dopo anni, scoprii come grande autore. 
Nel campo della pubblicità,iniziò una collaborazione con una ditta che produceva, spot televisivi per le più grandi marche italiane.
Lui faceva l‘autore e qualche volta il regista e ricordo, che, pur essendo gli albori di quel mercato, paragonandolo a quello che è oggi, già ci partecipavano molti registi ed autori famosi nel cinema.
Ci partecipai anch’io come attore in qualche carosello e questo ne alzò “notevolmente” la qualità….eheheh.
Nel frattempo, morì mio padre, morì Nicù e zio Piero e questo, in particolare la morte di Babbo, per lui che pure era uomo dalle mille risorse, fu un colpo pesante che però all’apparenza superò abbastanza presto, perché la sua sorprendente capacità di buttarsi dietro le spalle anche gli avvenimenti più gravi della sua vita, era una sua caratteristica peculiare.
Pur avendolo conosciuto bene, sicuramente non posso sapere quello che aveva dentro, ma certamente esteriormente, dimostrava di riuscire ad andare avanti qualsiasi fosse la preoccupazione o il dolore  affrontati. Le persone di quella generazione si erano trovati di fronte problemi e difficoltà che sembravano insormontabili ed è possibile che  ne avessero ricavato questa capacità di superare tutto o magari era proprio il suo carattere ad essere così.
Successivamente andò ad abitare, con la nuova compagna, sempre nello stesso caseggiato,dove lei, Cecilia, aveva una casa di proprietà.
Quello fu il periodo in cui ci frequentammo di più, ci vedevamo tutte le settimane, uscivamo insieme, d’estate andavamo al mare insieme, insomma malgrado la differenza di età con lui ma non con lei, si instaurò una forma più di amicizia che di parentela. Anche Rita e Cecilia diventarono molto amiche. Mi ricordo al mare che Rita lo stuzzicava per farlo nuotare bene, in quanto lui si divertiva a imitare il nuoto di Cecilia o di altri che stavano più a fondo che a galla e lei gli diceva di imitare me.
Lui si schermiva dicendo che avrebbe dovuto sforzarsi di nuotare bene e non ne aveva voglia.
Rimangono nei miei ricordi, come esilaranti certe sere dopo cena a casa loro, quando lui, in vena, cominciava a raccontare storie comiche, infilando battute, una dietro l’altra, o ironizzando sui testi delle canzoni degli anni 30 cantandole con lo stile dell’epoca.
Il tutto intramezzato, da discorsi serissimi, sulla politica, sull’attualità, e sull’arte, in particolare cinematografica.
Insomma si parlava un po’ di tutto e quello per me fu un periodo in cui, pur non essendo sempre d’accordo, imparai molto.
Purtroppo, però il lavoro della pubblicità fini, la Ditta per cui lavorava fallì e lui dovette ricominciare a cercarsi il lavoro, riallacciando i contatti con i vecchi amici cineasti.
Riuscì ad ottenere un appalto televisivo per una serie di lezioni d’inglese, che andò avanti per un paio d’anni e poi stette fermo per un po’, fino a che non iniziò una collaborazione con mio zio Marcello che creò un giornalino regionale, settimanale, che fece dirigere a zio Bebo e sul quale un paio di volte scrissi qualche articoletto anche io.
Non c’è da sorprendersi se passava da un lavoro all’altro con una facilità estrema, almeno all’apparenza, lui apparteneva ad una generazione che non si spaventava di niente e che era abituata adattarsi, specialmente quando, magari cambiava completamente il genere, ma sempre di scrivere si trattava.
Il problema era che i due zii vedevano il lavoro e gli affari in modo molto diverso e incompatibile.  Zio Marcello nel locale dove si faceva il giornale, si era messo in testa di mettere anche una vendita di ceramiche, zio Bebo non ci pensava proprio a occuparsene.
Fatto sta che il negozio andò male e il giornale pure , in quanto non era certo un’idea nuova e conquistare mercato a chi è già presente da anni nel campo dell’editoria non era cosa facile,specialmente con pochi mezzi economici.
Così fini la collaborazione tra i due zii, per fortuna senza grandi attriti, anche se alcune recriminazioni da parte di entrambi ci sono state, sia pure  non palesemente espresse, almeno davanti a me.
Era la fine degli anni 70 , sembravano anni abbastanza sereni anche se sotto, sotto, covavano problemi che ci saremmo ritrovati presto.                        
All’epoca del giornale, fu assunta come segretaria di redazione una ragazza di nome Nicoletta di meno di trenta anni, che stava a contatto con Bebo tutti i giorni.
Lui aveva circa trentacinque anni più di lei, ma sembrava molto più giovane, era  ancora di aspetto fisico molto piacevole e soprattutto era il più grande affabulatore che abbia conosciuto, fascinoso che più non si potrebbe.
Detto questo, è immaginabile cosa sia successo tra di loro, tutto di nascosto, in quanto lui, rimasto vedovo aveva, nel frattempo sposato Cecilia.
I coniugi si volevano bene, in particolare Cecilia amava ancora Bebo, anche se da confidenze fatte a Rita, una relazione extraconiugale l’aveva o l’aveva avuta, sentendosi trascurata sessualmente, senza però incolparne Bebo, ma attribuendo, molto ingenuamente,  quella mancanza di attenzioni sessuali, all’età di lui.
Ma ci sono cose che per quanto discreti si possa essere, non si riesce a tenere segrete per sempre e non so bene come, ma Cecilia fini per scoprirli presto.
Ricordo che la cosa insopportabile per lei non era tanto quella di essere stata tradita, quanto che lui lo avesse fatto con una donna molto più giovane di lei e anche carina, pensando di non meritarselo per avergli dimostrato grande amore accettando di restare con un uomo che aveva circa 20 anni di più, oltre a considerarla un affronto al suo orgoglio femminile.
Ed anche in quel caso, ci fu una chiusura brusca e definitiva e credo che, dopo pochi giorni, lui se ne andò da casa e non si videro mai più.
Di conseguenza anche noi la perdemmo di vista non senza un po’ di rammarico, perché ci eravamo affezionati, ma così fu. Lei non ci cercò più e noi neanche.  Credo che non sia giusto, ma andò così.
Purtroppo, seguì per la nuova coppia, un periodo duro, con difficoltà sia economiche, che logistiche, visto che furono costretti ad andare ospiti a casa della figlia di lui, Patrizia che, senza entrare troppo in particolari che mi risultano troppo spiacevoli, fece scontare, secondo lei, al padre l’abbandono di oltre  30 anni prima, quando si era separato dalla madre.
Ricordo solo che, in quel periodo, che durò abbastanza, li andammo a trovare una sola volta e la sensazione che ne ricavammo, dovuta al comportamento di Patrizia ed alla sistemazione all’interno della casa che aveva riservato loro, fu veramente deprimente.
Anche con noi non si comportò in modo accogliente.
Non so che fine abbia fatto, perché quella è stata l’ultima volta che l’ho vista ed è mia cugina carnale.
Per fortuna le cose tornarono ad aggiustarsi, perché lui ricominciò a guadagnare e riuscirono a prendere una casetta, magari piccola, ma tutta per  loro, nella quale li aiutammo a traslocare.
Poi ottenne,attraverso le conoscenze, di inserirsi in una scuola di cinema ed arti audiovisive con sede a Cagliari,credo finanziata dalla Regione, nella quale iniziò ad insegnare sceneggiatura cinematografica, per finire insegnando un po’ di tutto e riuscendo a far lavorare anche Nicoletta.
Perciò in quel periodo e da allora sino alla fine, mancarono da Roma per molti mesi all’anno e le nostre frequentazioni si diradarono moltissimo.
Nel frattempo era morto zio Tigellio, fratello di Nonna Titina, moglie di Nonno Ettore, a oltre 90 anni e aveva lasciato la casa di proprietà a zio Bebo, dove lui si trasferì subito con Nicoletta e devo dire che, a parte qualche problema di salute dovuto all’età che avanzava e al fatto che ancora fumava una quantità notevole di sigarette, quello fu il periodo in cui fu più sereno e privo di preoccupazioni in tutta la sua vita.
Pare che sia proprio vero che quando ti succede questo, è arrivato il momento di morire e infatti così fu.
Ricordo alcune battute dell’ultimo periodo. 
  • E io dovrei essere sposato con un donna della sua età? Guardando la madre di Nicoletta,che comunque era molto più giovane di lui. 
  • Quando mi dicono se sono matto a stare con una donna di trentacinque anni più giovane,rispondo che questa è una cosa da chiedere a lei, perché, semmai, è lei che ha un problema.
Morì in Sardegna, lavorando, all’età di 75 anni nel 1988, fu riportato a Roma, tumulato nella tomba di famiglia e così finì l’avventura di un uomo che attraversò un epoca avventurosa, come avventurosa fu tutta la sua vita, un uomo dal quale ho imparato moltissimo, che ho amato anche di più, dal quale credo di essere stato ricambiato almeno nei limiti del suo carattere,che al contrario di quello di mio padre non era tutto sentimento, ma sentimento, sempre comunque filtrato dalla razionalità e dalla capacità di non lasciarsi influenzare dall’emotività.
Un uomo che, con le sue qualità avrebbe potuto diventare uno dei più grandi autori almeno di cinema italiani, in quanto, personalmente, pur avendo assistito a sedute di sceneggiatura con nomi famosissimi del cinema, ed avendo letto un’infinità di sceneggiature, non ho mai visto nessuno riuscire a scrivere cose così importanti con tale facilità, quasi di getto ed essere così sempre pieno di idee nuove.
Il problema è stato che, pur essendo così bravo ad affascinare tutti quelli che aveva intorno e che conosceva bene, non è mai riuscito a fare altrettanto con gli estranei nel campo del lavoro, aveva come una forma di timidezza che nessuno che lo conoscesse superficialmente gli avrebbe mai attribuito, impensabile ed immotivata per uno come lui. Ma ognuno di noi ha un lato nascosto che dal di fuori sembra inspiegabile, ma che una  spiegazione deve pur avere, visto che c’è.
Lo ricordo ancora giovane e forte con pochi soldi in tasca, ma sempre impeccabile con la cravatta a farfalla e i baffi che gli stavano molto bene.
Mi torna alla mente lo scherzo che faceva quando si era tagliato i baffi intorno ai sessant’anni e a chiunque notasse quella differenza si fingeva stupito e:
  • Chi io? Mai portato i baffi in vita mia.
Una delle cose di cui mi rammarico moltissimo è di non avere niente dei suoi scritti,a parte un vecchissimo articolo di giornale, che poi era un raccontino, pubblicato in gioventù e firmato Arnold Marrow, perché il resto è rimasto tutto nelle mani di Nicoletta, che ho completamente perso di vista e che sinceramente non so quanto possa apprezzarli.
Per fortuna ho perfettamente a mente una delle ultime cose che scrisse, un film, una commedia, che secondo me sarebbe stato splendido, ma di cui non voglio parlare, perché non è stato e non sarà mai  fatto e mi auguro che lo abbia portato con sé dovunque sia, per allietare tutta la gente  che come al solito gli farà circolo intorno.
A conclusione di questa parte di vita riguardante la mia famiglia paterna, mi resta la certezza di essere stato molto amato dalla maggior parte di loro, ognuno con un suo particolare modo,che ho ricambiato con tutto me stesso.
 Ad eccezione di babbo e anche un po’ nonno, non ricordo un abbraccio che non fosse di routine da parte degli altri, compreso Bebo, come se avessero tutti una forma di pudore probabilmente virile, a dimostrare l’affetto anche tangibilmente, perché non posso negare che, almeno zio Bebo, mi abbia dato prova di amarmi in centinaia di occasioni, ma sempre con comportamenti espliciti, più che con quelle che probabilmente ritenevano un po’ tutti “smancerie”.
Non l’’ho detto perché ne abbia sentito la mancanza, visto che, tutto sommato anche io sono un po’ così, anche se con gli anni sto migliorando, ma per inquadrare ancora meglio i personaggi e anche quella che all’epoca era una consuetudine abbastanza diffusa.