UNA LUNGA STORIA - CAPITOLO 2°
Sono nato a Roma ma sono di origine sarda, anche se mi sento tutto romano e poco sardo. Le poche volte che sono stato in Sardegna, per vacanza, non mi sono riconosciuto, come carattere, nel tipico sardo, ammesso che, trattandosi di persone, la parola tipico, abbia un senso.
La mia famiglia paterna si trasferì dalla Sardegna a Roma per fare “fortuna”, intorno al 1915, erano una tribù,formata da marito, moglie e 5 figli, quattro maschi ed una femmina, più qualche parente acquisito, al seguito. Tra cui Zio Tigellio e zio Ennio, fratelli di nonna, che andarono in guerra, fortunatamente tornando entrambi vivi. Mentre nonno, essendo l’unico sostentamento di una famiglia numerosissima, rimase a lavorare.
Il sesto figlio, che poi era mio padre nacque a Roma nel 1921 e per questo motivo fu chiamato Umberto Romano.
Mio nonno, Ettore, che, per l’epoca, doveva essere particolarmente avventuroso, quasi un pioniere, malgrado fosse un uomo nato nel 1881, si dette subito da fare a cercare attività redditizie, sino a mettere su una ditta di Pompe Funebri, che divenne una delle più importanti di Roma, senza che questo,almeno a quanto mi risulta, lo imbarazzasse minimamente,visto che riteneva, secondo me giustamente, che qualcuno doveva farlo e che nessun lavoro, se è fatto bene e onestamente può essere considerato degradante.
Così riuscì a far vivere bene tutta la famiglia, compresi i parenti acquisiti, le nuore, i generi, i nipoti, i cognati gli amici e tutti quelli che avevano l’avventura di passare per casa nostra che, vi assicuro, erano proprio tanti.
Almeno fino a che non cadde in disgrazia, dopo qualche anno dalla fine della seconda guerra, non tanto per sue colpe, quanto perché non riuscì ad organizzare una reale continuità alla Ditta, attraverso i figli, che presero ognuno la propria strada, ritenendo spiacevole e non dignitoso fare quel lavoro. (col senno di poi…..che sbaglio!!). Pensate che prima della guerra, i titolari delle due ditte di Pompe funebri più importanti di Roma , per chi è di qui, lavoravano per nonno.
Famose rimasero alcune scenette tragicomiche nei funerali, specie nei momenti in cui si andava a sistemare la salma e era presente uno dei figli.
Per un motivo o per l’altro, dalla dimensione della cassa, dall’aspetto del defunto, al suo abbigliamento, senza naturalmente farsene accorgere dai parenti in lacrime, di solito, finiva con scoppi di risa irrefrenabili, ma necessariamente trattenute.
Il gusto dell’ironia macabra che è stato, il pezzo forte di molti comici ma che, in quelle occasioni, essendo spontaneo, sembra che facesse ridere ancora di più.
Come dicevo, la casa di nonno, per anni, fu un porto di mare, sempre piena di ospiti piccoli e grandi, tutti molto rispettosi di questo anziano signore, che poi tanto anziano non doveva essere, che si dimostrava severo ma anche tenerissimo specialmente con i nipoti.
Mi ricordo che quando nonno parlava al telefono o dormiva, nella enorme casa, che normalmente era molto rumorosa, si faceva un silenzio di tomba e quando, in qualche modo, era disturbato, per punire qualcuno, invece di inveire o usare le mani, lanciava loro addosso dei fazzoletti.
Ero piccolissimo, ma lo rammento come si potrebbe ricordare una poesia che ti è tanto piaciuta da bambino.
Io vissi lì, con i miei, i primi cinque anni della mia vita e il ricordo che ne ho è molto nebuloso.
Ricordo una grande giardino nel quale passavamo la maggior parte del tempo, qualche cuginetto più grande molto dispettoso, l’affetto di nonna Titina, che pure essendo sardissima, se la dovessi rappresentare secondo il ricordo che ne mantengo, l’unica immagine che mi susciterebbe, è quella della classica matrona romana, della chioccia, protettiva sino all’inverosimile e poi un cane simpaticissimo, meticcio quanto intelligente, Filippo, le cui avventure sia casalinghe che esterne richiederebbero un capitolo a parte e che stava in casa dove lo aveva lasciato zio Bebo che era in giro chissà dove.
La storia di nonno e nonna non ebbe un bell’epilogo perché lui si prese una sbandata per un’altra donna più giovane e lei ne soffrì moltissimo, sino a colpevolizzarsi per essere invecchiata, al punto di decidere di fare un operazione chirurgica per la rimozione del grasso superfluo specialmente sulla pancia.
Tutti, dal marito ai figli, la sconsigliarono di fare un intervento che, all’epoca, era piuttosto rischioso, considerando che si trattava dei primi anni ’50.
Ma lei non pensava ad altro che a riconquistare il marito e avrebbe fatto qualsiasi cosa per questo e così fece, purtroppo, nessuno la potette fermare.
Morì in clinica per complicazioni post operatorie. Credo che non avesse compiuto sessant’anni.
Certo che le donne erano un po’ diverse dalla maggior parte di quelle attuali,ma devo dire anche gli uomini.
Per definire in cosa erano meglio e in cosa peggio credo che ci vorrebbe un libro a parte,quello che posso dire, senza però approfondimenti, è che l’amore almeno in altissima percentuale o era quello vero, per il quale si può anche morire o non era affatto.
Per quanto riguarda gli uomini, erano senz’altro meno fedeli, più autoritari, patriarcali, ma, nello stesso tempo, molto più affidabili. All’epoca era normale parlare di onore, di correttezza e di protezione della famiglia. Almeno, in una buona percentuale, anche se questa è un’opinione influenzata, un po’ troppo , da quelle che sono state le mie conoscenze.
Dopo quella tragedia Nonno fini, non so quanto convinto, per sposare la donna per cui aveva lasciato nonna, adottandone anche una figlia e visse in povertà, con la sola pensione, in un appartamento sino alla sua morte che avvenne all’età di 81 anni nel 1962.
Il più grande dei figli, Antonio detto Nuccio, nato nel 1901, (pensate che mio padre,il più piccolo, era del 1921 e perciò gli sarebbe potuto essere figlio) fu un fascistone della prima ora e fece carriera nella Milizia sino ad arrivare al grado di Colonnello, anche se, a detta di tutti quelli che lo hanno conosciuto, non macchiandosi di alcuna delle malefatte che hanno caratterizzato il comportamento delle squadracce in quell’epoca.
Ricordo che la figlia Luciana, mantenne per anni, fino alla sua morte, con orgoglio, un articolo di giornale nel quale, un famoso regista cinematografico e televisivo, notoriamente comunista, raccontava una storia nella quale gli era stata salvata la vita solo per giustizia e generosità, da un fascista, che altri non era che mio zio Nuccio, nominandolo.
Gran puttaniere e conquistatore di donne, si trovò spesso nei guai per quel motivo, avendo una moglie gelosissima, ma non particolarmente attenta nel cercare di mantenersi un marito con quelle inclinazioni e in più, essendo appassionato di recitazione, frequentava spesso attrici famose, con le quali intraprese anche relazioni intime.
Dopo la caduta del fascismo ebbe molti problemi anche con la giustizia, malgrado, a quanto sembra, fosse del tutto innocente, come poi gli si riconobbe, ma in quegli anni sono successe cose, non sempre giustificate, sulle quali ancora non è stato possibile parlare in senso strettamente storico, senza essere ancora influenzati da interessi di parte.
Dopo tutti questi anni trascorsi,l’unica cosa che mi sentirei di dire, essendo abbastanza convinto di non scostarmi troppo dalla realtà, è che tra le persone, c’erano buoni e cattivi da tutte e due le parti, pur ammettendo che la parte dei fascisti era nel torto e ci ha portato tutti verso la rovina.
Dopo la guerra e le vicissitudini che ne seguirono, si trovò privo di tutto e si arrangiò a fare lavori di vari tipi, da importanti, perché era uomo di grandi qualità intellettuali, a umili, sempre però riuscendo a tirare avanti, anche se spesso aiutato economicamente da nonno, da mio padre e dalla figlia. Quelli erano anni nei quali tutti ci si arrangiava un po’, in un paese poverissimo, appena uscito da una guerra disastrosa.
Per un certo periodo frequentò casa nostra quando ancora mamma e babbo, pur non andando d’accordo, si tolleravano e poi andava a trovare nonno che abitava vicino a noi e spesso se ne andavano insieme al cinema del quartiere, dove nonno aveva l’abbonamento e ogni volta che andava con lui pretendeva di far passare il figlio con il prezzo ridotto. ( aveva quasi 60 anni).
Ricordo quelle poche volte che ci andai anche io, il divertimento del cassiere che ormai, entrato nel gioco, partecipava al tormentone, divertendosi anche lui. Quel giorno fece passare anche me come ridotto.
Spesso trascorrevamo interi pomeriggi insieme ed io circa quindicenne, che avrei dovuto studiare, mi divertivo a provocarlo con domande, le più difficili possibili, essendo un uomo che, pur non avendo fatto studi regolari, era molto colto e sapeva un po’ di tutto.
Mi piaceva provocare una discussione, nella quale potermi misurare con lui, con argomentazioni sempre più complicate, per vedere sino a che punto riuscivo a tenergli testa.
Lui ci stava, anche se era troppo intelligente per non capire che volevo solo mettere alla prova sia lui, che soprattutto me. In quel periodo si istaurò un legame affettivo tra noi, che trascendeva il rapporto zio,nipote.
La sua vita amorosa fu particolarmente travagliata, in quanto si separò abbastanza presto dalla moglie che non poteva più tollerare i suoi tradimenti che non si preoccupava più neanche di nascondere,e dopo una serie innumerevoli di avventure, ne ebbe una che lo segnò sino alla morte.
Si innamorò di una ragazza giovanissima, poco sopra i vent’anni, amica della figlia più grande. Tra di loro ci fu una passione travolgente che non durò tanto ma produsse un figlio e, purtroppo, la ragazza, malgrado fosse diplomata ostetrica, morì di parto.
Non lo sentii più parlare del fatto, né citare la persona, ma da allora ebbi la netta sensazione che con le donne avesse definitivamente chiuso.
Nell’ultimo periodo, economicamente, si trovo un po’ meglio, perché era un momento in cui il cinema italiano tirava forte e lui, a cui era sempre piaciuto recitare, riuscì a trovare alcune piccole partecipazioni, anche con l’aiuto della figlia, che come vedremo era del campo, nelle quali era piuttosto bravo.
Purtroppo morì abbastanza giovane di qualcosa di simile all’ictus e ricordo l’ultima volta che lo vidi in un letto di ospedale, in coma.
- Sono Stefano, gli dissi stringendogli una mano e lui, che sembrava inerte, abbozzò una specie di sorriso e mi strinse la mano ancora più forte.
Non lo potrò mai dimenticare.
Sul secondo dei fratelli, Piero,(1902), le notizie sono un po’ più vaghe in quanto è stato più il tempo che ha trascorso lontano dalla famiglia che quello con noi.
Era di un anno più giovane di Nuccio, ma, molto diverso di carattere ,inoltre, a poco più di vent’anni era già vedovo, risposato e con una figlia avuta dalla prima moglie.
Della prima moglie ho potuto vedere solo fotografie e da quelle sembrava bellissima, la seconda forse anche di più, perché, oltretutto, era anche una signora di un certo livello sociale.
Tutto ciò, solo per sentito dire, però, perché io l’ho conosciuta bene solo quando, ultra settantenne, tornò in Italia per un certo periodo, dopo il trasferimento in Venezuela con le figlie.
Devo dire che era ancora bella e molta in gamba. Manteneva un portamento e un’eleganza innata che ne confermavano l’aspetto da gran dama. Ma questa è un’altra storia.
Zio Piero, comunque, nei racconti ricavati dai vari parenti, cominciò come stenografo in un ministero, fu assunto all’AGIP, per la quale lavorò, molti anni in Africa,facendo una notevole carriera, trascurò moltissimo la famiglia e quando rientrò in Italia andò ad abitare a Genova seguendo l’AGIP, senza la moglie che nel frattempo, era espatriata in Venezuela, con le due figlie, che avevano trovato il tempo di mettere al mondo, malgrado i due fossero stati pochissimo insieme, soprattutto per colpa di lui che, oltre ad essere lontano per lavoro, era facile alle distrazioni quando c’era in zona qualche bella donna.
La sua gioventù, trascorse frequentando palestre di boxe, nella quale pare che fosse piuttosto bravo visto che vinse una certa quantità di premi da dilettante, quel tipo di ambiente che non era proprio l’elite della borghesia romana e una quantità imprecisata di donne.
Insomma sembrava che dovesse diventare un ragazzaccio e prendere una cattiva strada, malgrado la famiglia lo controllasse quanto era possibile.
Ma,molto presto, appena finita l’adolescenza, fu chiarissimo che, i suoi interessi erano tutti rivolti al lavoro e al guadagno ed essendo anche lui, come suo padre, avventuroso, appena ebbe l’occasione di andarsene in Africa, non ci pensò un momento, malgrado lasciasse una famiglia qui.
Di avventure in Africa, specialmente sessuali, dopo anni qualcuna ce ne raccontò, anche se la maggior parte irriferibili.
Ma l’Africa gli servi soprattutto come trampolino per una carriera velocissima e per una maturazione che forse, restando a casa, non avrebbe avuto almeno nello stesso modo.
L’uomo come carattere era molto ironico, ma anche molto concreto sul lavoro e accorto finanziariamente.
Malgrado questo, pressappoco verso la fine della guerra, pur essendo riuscito ad arrivare al grado di Direttore, per un colpo di testa, si licenziò dall’AGIP, intascando la liquidazione, immaginando che con quella cifra avrebbe potuto realizzare una sua attività in proprio, ma non prevedendo che, di lì a poco, quel denaro, per colpa della svalutazione, non sarebbe valso quasi più niente, si ritrovò, a circa 45 anni, senza una lira a dover ricominciare da capo.
In conseguenza di ciò, potrebbero seguire una serie di racconti, non so quanto sceneggiati, su lavori intrapresi per tirare avanti, come il pescivendolo al porto di Genova, con episodi esilaranti di vendite di pesce di diversi giorni, truccato per sembrare freschissimo e altri più o meno ameni.
Fatto sta che dopo pochi anni riuscì a creare una fabbrica di Pitture Marittime, che chiamò con grande fantasia PI.MAR. (Piero Marrosu) e che gli diede da vivere molto bene, sino alla morte, anche dopo averla chiusa.
Il tutto sempre intrecciato con qualche storia di donne, che almeno sino ad una certa età, si rinnovavano come vestiti nuovi.
Rimasero famosi i suoi brevi ritorni a Roma, a ritrovare la famiglia, nei quali amava dare la sensazione dello zio d’America, invitando a cena tutti i parenti, che erano veramente tanti, circondandosi di belle giovani nipoti che teneva sempre vicine, senza secondi fini, solo per il piacere di avere una bella ragazza accanto, che in genere spingeva a mangiare il più possibile, in contrapposizione a lui che invece mangiava come un uccellino. Si beava nel guardarle.
I problemi incominciarono quando, essendo un grande fumatore, come d’altronde anche gli altri fratelli, iniziò ad avere guai molto seri di enfisema polmonare.
Ricordo un anno in cui andai ospite a casa sua a Genova, in una villetta di sua proprietà, le sue condizioni fisiche al rientro a casa, che come seppi in seguito, derivavano dall’aver appena avuto un rapporto sessuale con una sua amante, erano impressionanti.
Praticamente gli mancava completamente l’aria, era come un attacco d’asma la cui durata era molto più lunga del normale. Tutto sudato, il volto scavato, gli occhi di fuori, una cosa da spaventare, che lui con me sdrammatizzò, ma che io riconobbi per gravissima, considerando che da bambino avevo sofferto di asma bronchiale e perciò ne avevo un idea abbastanza precisa.
Questa situazione lo convinse a lasciare il lavoro, a smettere di fumare sigarette, ma non la pipa, che fumò fino alla fine, di andare ad abitare, prima con la figlia più grande, che stava a Genova, presso la quale però per un tipo estroverso e godereccio come era lui, malgrado la malattia, si trovò malissimo, pur circondato dall’affetto e preferì andare ospite dal fratello Bebo a Roma, con il quale faceva una vita molto più divertente nei limiti di quello che gli permetteva il suo fisico e dove rimase fino alla morte.
Purtroppo la figlia Lori, avuta dalla prima moglie, pur essendo molto affezionata al padre, una brava donna, non molto brillante, soprattutto troppo seria per i guasti del padre, era oltretutto afflitta dall’essersi scelto un marito professore di matematica, se possibile anche più serio di lei, con un notevole difetto di pronuncia che lo faceva sembrare, pur non essendolo, un po’ ritardato ed aver concepito un figlio con tutti i difetti del padre accentuati ma con molti meno pregi.
Potete immaginare se in un posto così, con tutto l’affetto del mondo, un uomo come zio Piero, avrebbe potuto resistere.
Era anziano, malato, impossibilitato a fare molte cose se non misurandole attentamente, ma sprizzava vita da tutti i pori lo stesso.
In quegli anni di Roma, ebbi modo di conoscerlo molto meglio e devo dire che i due fratelli, entrambi molto simpatici e ironici erano uno spettacolo insieme e lui, che ormai non era certamente più in grado di andare con una donna, non perdeva occasione, se capitava, di provarci lo stesso, solo per il gusto di farlo senza l’idea di concretizzare, naturalmente.
Ricordo che molto elegantemente e discretamente ci provò pure con Rita, non in un modo sgradevole da vecchio porco, ma mantenendo classe ed eleganza, e Rita, come mi raccontò, non ebbe una sensazione di repulsione, almeno non lo disse mai, semmai di tenerezza, data la grande differenza di età, sentendosi però, anche un po’ lusingata, perché l’uomo era ancora molto fascinoso.
Ricordo i pomeriggi seduti al bar sotto casa a guardare e spesso scherzare, perché riusciva a creare un rapporto di conoscenza con qualche ragazza della zona. Spalleggiato anche da zio Bebo che, da questo punto di vista, era addirittura più pronto di lui, ma che lo faceva per divertire il fratello. Rammento il giochino che gli piaceva fare, un po’ vanitosamente, stando seduto sulle sedie metalliche del bar, tirava su le gambe a squadra tenendosi ai braccioli con le mani e questo sino a quasi 70 anni.
Morì malissimo, per mancanza di fiato e purtroppo, avendo un fisico ancora molto forte, durò molto, fino a che resse il cuore e non fu un bello spettacolo da vedere, quest’uomo che era stato grande in molti sensi, sbattuto in un letto di ospedale con la bocca spalancata alla ricerca dell’aria che non sarebbe arrivata, per giorni e giorni.
Sinceramente, un po’ vigliaccamente all’ultimo, non lo andai più a trovare. Avevo molti impegni di lavoro, per la verità, ma forse avrei trovato un po’ di tempo per andare, ma lo spettacolo era così crudele, molto vicino ai peggiori incubi che uno possa avere che, sapendo che non avrei potuto confortarlo in nessun modo, preferii evitare a me e anche a Rita un dolore del genere.
Così finì Pierino, “lo svelto”, perché questo era il suo soprannome da ragazzo, piccolo, per altezza, grande uomo,grande lavoratore, grande comunista convinto, intelligente, al punto che riuscì per anni ad andare d’accordo con il fratello Bebo che, pur non essendo fascista, era decisamente anticomunista.
Quelli erano anni in cui lo scontro politico si faceva sempre più acceso e che c’erano i morti per le strade.
Sul terzo fratello, Mariano non ho molto da dire, l’ho frequentato abbastanza poco, era l’unico che fece studi superiori essendo infatti laureato in economia, era famoso per essere molto forte fisicamente e con un carattere litigioso e si raccontavano scazzottate mitiche, sia da giovanissimo che anche da uomo maturo, a un paio delle quali ho assistito personalmente, infatti da giovane fece anche un po’ di pugilato professionistico senza però continuare essendo i suoi interessi ben altri.
A proposito del carattere e della sua indole un po’ litigiosa, ricordo ancora il ritaglio di giornale con la descrizione di un romano, a Rimini, che aveva, da solo, vuotato un locale frequentato da ragazzi con la sua foto riportata nella quale metteva in mostra una struttura fisica notevole e naturale.
Bisogna ricordare che a quell’epoca e ancora sino almeno a tutti gli anni ’60, si poteva fare anche a "botte” per strada perché non rischiavi che qualcuno tirasse fuori un coltello o addirittura una rivoltella come ora, ancora tra gli uomini si parlava del senso dell’onore e di affrontarsi ad armi pari.
In famiglia passava per avarissimo ma con me non lo fu, quando andai ospite da lui a Milano, dove si era trasferito seguendo il lavoro alla Shell, anzi si dimostrò generoso per tutto il tempo che rimasi.
Era sfottuto dagli altri fratelli, essendo l’unico della famiglia ad avere la pelle olivastra e lo chiamavano il giapponese sempre attenti a non stargli a portata per evitare la partenza di qualche schiaffone.
Ricordo, dopo tanti anni, lui era già un uomo sui 60, quando babbo, zio Bebo ed io partimmo di notte in macchina per raggiungerlo a Bergamo, dove nel frattempo si era trasferito, perché ci era stato detto che aveva avuto un grave infarto.
Nell’entrare nella stanza dell’ospedale zio Bebo, finto tonto,appena lo vide, disse:
- Abbiamo sbagliato stanza, qui c’è un giapponese incinto che non conosco.
Ho ancora negli occhi zio Mariano, in pieno infarto, iniziare a ridere senza riuscire a fermarsi, tenendosi il pancione che ballava mentre lui era immobile supino nella lettiga.
Altra avventura quella notte, fu trovare l’ospedale, per tre romani che chiedevano informazioni a dei bergamaschi.
Come stare all’estero senza conoscere la lingua, alla fine dovemmo andare in una stazione della polizia perché c’eravamo persi.
Comunque quell’infarto fu superato, ma per poco, perché non visse ancora a lungo e il secondo purtroppo se lo portò via ancora relativamente giovane e lasciò un’ex moglie, una compagna e due figli avuti dalla prima.
Anche lui era un uomo complicato e pieno di contraddizioni, intelligentissimo e simpatico quando voleva, con sempre la parola pronta, litigioso in certi casi e duro con chi o non gli era simpatico o comunque riteneva che lo meritasse, ma una chioccia come nonna, con i figli, specialmente uno dei due, che gli dette problemi tutta la vita.
Dovette toglierlo spesso da guai sia di natura finanziaria che anche per la frequentazione di ambienti malavitosi nei quali si era infilato per problemi economici, ma zio quando si trattava di salvare il figlio diventava una belva e, dato il tipo, anche ambienti come quelli, lo stavano a sentire.
Infine riuscì attraverso le sue conoscenza a farlo entrare in una Banca e pur rimanendo un po’ inaffidabile fu almeno abbastanza circoscritto.
Il fratello non gli dette particolari grattacapi almeno fino a che visse. Sulla vita successiva, ci sarebbe molto da dire, ma anche questa è un’altra storia
La quarta era l’unica femmina, zia Paola, di cui so pochissimo in quanto le frequentazioni sono state veramente poche, essendosi sposata con un uomo che non andava d’accordo con la nostra famiglia e a dir poco era almeno particolare e sinceramente non ricordo episodi che caratterizzino la personalità di mia zia, degni di essere raccontati. A parte il viziaccio di litigare con il marito e tornare alla casa materna lamentandosi, sistema che sicuramente non ha facilitato i rapporti tra il marito e tutta la sua famiglia.
Ebbe tre figli ed anche lei morì relativamente giovane di cancro,intorno a 70 anni. Sui tre cugini, se ci sarà occasione, parlerò quando descriverò dei contatti diretti con loro.
Quello che posso dire è che iniziai a frequentarli che già ero grande.
Per raccontare la storia di Arnaldo detto Bebo, detto “il misterioso” , ci vorrebbe un capitolo a parte per quello che è stato il personaggio e perché sicuramente l’ho frequentato molto più degli altri, anche di mio padre, riuscendo naturalmente a conoscerlo meglio e ad avere con lui un legame più profondo.
Era il più vicino per età a mio padre, avendo solo 8 anni di più e, nonostante ciò, zio Bebo gliene, sopravvisse 16.
Era chiamato il misterioso perché non si sapeva mai dove fosse o dove andasse quando usciva e, questo, fin da bambino.
Di gran bell’aspetto e con la parola sempre pronta sia alla battuta spiritosa sia al discorso serio, era uomo che, pur avendo frequentato solo le scuole superiori, aveva letto di tutto ed aveva una cultura vastissima, ma all’epoca non era infrequente, perché il numero di non laureati, anche tra gli autori importanti, era notevole.
Ma soprattutto era naturalmente simpatico e sempre pronto allo scherzo e al sorriso.
Anche lui con una vita contrassegnata dalle tante donne, sicuramente più di tutti gli altri fratelli che già non si erano fatti mancare niente.
Iniziò abbastanza giovane a lavorare per il cinema ed anche per qualche giornale, avendo una notevole capacità e facilità nello scrivere. Senza mai raggiungere il vero successo, lavorando spesso in collaborazione con sceneggiatori, alcuni dei quali famosi, come “negro”, cioè quello che scrive ma non mette la firma.
Ma il fatto che frequentasse gente del cinema comprese attricette, per un ragazzo come me,rappresentava un particolare fascino, aggiunto al fatto che lui personalmente era particolarmente fascinoso, un grande affabulatore ed anche molto affettuoso con me.
Ma tornando indietro, pur non essendo tanto simpatico a mia madre, che è stata sempre convinta che avrebbe portato sulla cattiva strada babbo, cosa assolutamente contraria alla realtà, in quanto semmai gli ho sempre sentito fare discorsi prudenti a quello, che lui riteneva il suo fratellino da proteggere,frequentava la nostra casa fin da quando io ero piccolissimo ed avevamo appena lasciato la casa di nonno.
Mi chiamava sciaboletta, essendo io, all’epoca, e per molti anni dopo, magrissimo, e mi portava spesso attrezzi di scena, come spade finte e pistole portate via da qualche set cinematografico.
Ricordo che una di queste spade l’ho conservata sino a pochissimo tempo fa e cioè almeno cinquanta anni.
Non guadagnava molto, soprattutto non continuativamente e spesso riusciva ad avere qualche aiuto da babbo, che pur essendo anche lui abbastanza povero, aveva almeno uno stipendio ed un impiego fissi,ed in più arrotondava le entrate, facendo un secondo lavoro, il rappresentante di medicinali.
Bebo si sposò giovanissimo con una donna della buona borghesia più grande di lui di poco, contro il parere di molti della famiglia che non vedevano i due molto bene assortiti.
Ebbe una figlia, Patrizia, ma l’unione durò poco, perché lui, non si trovava bene e anche per l’ambiente che frequentava. Conobbe piuttosto presto una donna della quale si invaghì e che lo fece decidere a lasciare la famiglia, andando ad abitare fuori Roma, per non farsi trovare dalla moglie, che era diventata ossessiva e che lo rimase per oltre 20 anni, almeno fino alla morte, inseguendolo dovunque e facendogli scenate di tutti i tipi.
Ricordo che dopo tanti anni o dopo qualche scenata era solito dire:
- Se l’avessi uccisa a quest’ora, sarei già uscito dalla galera.
L’ex moglie di zio Bebo era grande amica di mia madre e da questo fatto, potranno essere più chiare molte cose che racconterò in seguito.
Comunque lui andò ad abitare in una villetta lungo il litorale romano, dove d’inverno,nella zona, a quell’epoca, se non erano solo loro, poco ci mancava.
La nuova compagna, Livia, era anche lei un tipo dal carattere molto rigido e autoritario, meno che con lui, ma con tutti gli altri che la circondavano, specie se erano ospiti.
La loro casa in quell’epoca era molto frequentata, specie da gente del cinema, oltre che da noi, che ogni tanto, nei giorni di festa, andavamo.
All’inizio l’idillio tra i due fuggitivi era completo, grande amore corrisposto, poi, piano, piano, andò scemando ed ebbi la netta sensazione che avessero trovato un accomodamento, nel quale, lei gli permetteva qualche divagazione, a patto che, lui le garantisse una vita stabile.
Il fatto poi che non dormissero più nella stessa stanza avvalorava questa ipotesi, anche se, formalmente e di fronte agli altri, sembrava andassero d’accordissimo. In fondo hanno resistito insieme oltre venti anni.
Mamma anche in quel caso, dimostrò chiaramente qual era il suo carattere, facendo presente che lei non avrebbe mai potuto istaurare un rapporto di amicizia con la padrona di casa perché era troppo amica della prima moglie di zio e che perciò, tra loro ci poteva essere solo un rapporto formale e devo dire che l’altra, essendo anche lei tutta di un pezzo, capì benissimo, senza offendersi e adattandosi a questo stato di cose senza che si creassero attriti di alcun tipo.
Malgrado i timori miei e di babbo,in fin dei conti un accomodamento tra due pezzi di granito non si rilevò così difficile.
In mezzo a questi avvenimenti, la casa di zio nei giorni di festa si riempiva di gente, e spesso succedeva che lui sparisse con qualche attricetta giovane, per una passeggiata lungo le dune e di solito tornasse dopo ore.
Mentre Livia restava assolutamente indifferente occupandosi delle sue cose, mamma andava sul piede di guerra come se la cosa succedesse a lei, fino a che babbo non gli chiedeva di calmarsi e di occuparsi degli affari suoi.
Dava la sensazione di acconsentire, ma dentro di sé restava sempre all’erta.
Erano i favolosi anni 60 e il tanto decantato boom economico forse c’era, ma noi non ce ne eravamo accorti.
Di quegli anni, nei quali io nei periodi estivi, finita la scuola, ero spesso ospite loro, ricordo soprattutto cose piacevoli, giacché la compagnia di amici che frequentavo era veramente gradevole, intervallata da qualche amoretto giovanile, ma anche dal piacere di stare insieme.
All’epoca il mare vicino a Roma, almeno in quella zona, non era frequentato da tutti, come adesso, ma i villeggianti erano abbastanza selezionati.
Forse dipendeva da quello o forse gli anni 60 non erano solo un diverso periodo storico, erano proprio un altro mondo, nel quale certi eccessi, certe mancanze di gusto o di educazione, non erano ancora entrate nei comuni rapporti con la gente e quando, eccezionalmente, succedeva che qualcuno eccedesse in rumori o in maleducazione, era, per tutti, come un avvenimento speciale, di cui parlare a lungo.
L’unica cosa spiacevole era che Livia pretendesse di farsi fare dei servizi, tipo l’acquisto dei giornali o un po’ di spesa, ma soprattutto un paio di ore di trastullo giocando a carte, che per me all’epoca era una tortura, ma infondo mi permetteva di fare una vacanza che se no non avrei fatto e facevo buon viso a cattivo gioco.
E poi c’era Nicù, il cui nome “ufficiale” era: Nicolò Tobia Bambacione, il cane da slitta di zio, che, come alcune volte succede, era un po’ più di un cane e basta, era speciale per intelligenza, dolcezza con le persone che amava, ubbidienza, educazione, serietà,ma anche aggressività con quelli che riteneva nemici.
I ricordi maggiori che ho di lui erano le corse sulla spiaggia specie in inverno o nelle sere d’estate, nelle quali, lasciato libero, era capace di percorrere chilometri e chilometri, tornando, tutto contento, al punto di partenza invariabilmente, bastava aspettare. I bagni di mare che adorava sia in inverno che in estate.
In estate faceva il bagno con zio che per gioco si faceva trainare attaccato alla coda. Qualche episodio nel quale qualche garzone o visitatore incauto rischiò l’infarto per essere entrato dal cancello di casa senza farsi annunciare e senza accorgersi che il cane era libero e qualche altro in mare, essendosi trovato muso a muso con qualche ragazzo che, oltre ad aver paura dei cani, non era tanto sicuro in acqua.
Ripensandoci adesso era un periodo bellissimo, irripetibile. Le persone, salvo eccezioni rare erano tutte povere, ma non bisognose, le donne dovevano fare i salti mortali per far bastare i soldi per la spesa, industriandosi ad acquistare cose economiche che, cucinate bene, facessero bella figura, con una spesa bassissima, i rapporti umani erano……. appunto, umani. I principi di onestà e correttezza nella media della gente facevano parte della normalità e non c’era neanche bisogno di parlarne, perché erano scontati.
Si potrebbe pensare che dicendo queste cose c’entri molto anche la nostalgia per la gioventù e per un periodo un po’ idealizzato, ma sono certo che non sia così, si trattava di un mondo diverso, che chi non ha avuto la fortuna di vivere, ha difficoltà a credere.
Con questo non è che anche allora non ci fossero i delinquenti o gli imbroglioni, c’erano eccome, ma si trattava di minoranze, adesso ti meravigli quando trovi una persona onesta in tutte le sue manifestazioni.
La vita di zio Bebo, procedette in quel modo per molti anni, lui si sentiva libero, in quanto era sempre a Roma e rientrava a casa la sera, neanche sempre, e lei aveva la sua casa, la sua tranquillità che evidentemente era quello che desiderava.
Fino a che successe che, non ricordo perché, dovettero tornare ad abitare a Roma, ma soprattutto nel frattempo lui si era invaghito di una ragazza con circa 20 anni di meno, che faceva la tecnica cinematografica.
Tutto ciò fece precipitare gli avvenimenti perché lui lasciò la vecchia compagna per andare ad abitare in una casa a Trastevere, nella quale convisse con zio Piero per diversi anni.
La rottura con Livia fu netta, nel senso che ad un certo punto lui sparì totalmente dalla sua vita, anzi credo che non si siano più rivisti, cosa che nella sua storia si è spesso ripetuta, con le varie mogli o compagne.
Tutto ciò è derivato dal fatto di aver avuto sempre storie con donne molto orgogliose, a parte la prima, ed anche da una sua capacità di essere spietato nel chiudere un rapporto in modo definitivo.
Era in fondo un uomo buono, ma in questo lato del suo carattere non lo dimostrava molto, magari aveva i suoi buoni motivi. Sinceramente non me la sento di esprimere un giudizio che richiederebbe di entrare nell’intimo.
Nel frattempo, professionalmente le cose cominciarono ad andargli piuttosto bene, il cinema non tirava più, ma la televisione ed in particolare la pubblicità si.
Anche se il cinema, anche quello di serie B, al quale prevalentemente aveva partecipato, lo rimpiangeva un po’ perché molto più divertente.
Qualche volta ebbi l’avventura di costatarlo con gli occhi miei, perché, per affetto mi portò con sé per assistere a delle sedute di sceneggiatura di film non solo di serie B, ma di cappa e spada o mitologici.
Ci sarebbe voluta una cinepresa che per l’epoca non era nelle mie possibilità, perché lo spettacolo lo facevano loro, scrivendolo e non il film in se stesso, che aveva un valore molto relativo. Quello che risaltava di più erano i doppi sensi tra la bella e il culturista o trame umoristiche inventate lì per lì che non rispecchiavano affatto quello che sarebbe stato il lavoro finito.
In uno di questi casi conobbi un Sergio Leone giovane, sconosciuto e simpaticissimo, che dopo anni, scoprii come grande autore.
Nel campo della pubblicità,iniziò una collaborazione con una ditta che produceva, spot televisivi per le più grandi marche italiane.
Lui faceva l‘autore e qualche volta il regista e ricordo, che, pur essendo gli albori di quel mercato, paragonandolo a quello che è oggi, già ci partecipavano molti registi ed autori famosi nel cinema.
Ci partecipai anch’io come attore in qualche carosello e questo ne alzò “notevolmente” la qualità….eheheh.
Nel frattempo, morì mio padre, morì Nicù e zio Piero e questo, in particolare la morte di Babbo, per lui che pure era uomo dalle mille risorse, fu un colpo pesante che però all’apparenza superò abbastanza presto, perché la sua sorprendente capacità di buttarsi dietro le spalle anche gli avvenimenti più gravi della sua vita, era una sua caratteristica peculiare.
Pur avendolo conosciuto bene, sicuramente non posso sapere quello che aveva dentro, ma certamente esteriormente, dimostrava di riuscire ad andare avanti qualsiasi fosse la preoccupazione o il dolore affrontati. Le persone di quella generazione si erano trovati di fronte problemi e difficoltà che sembravano insormontabili ed è possibile che ne avessero ricavato questa capacità di superare tutto o magari era proprio il suo carattere ad essere così.
Successivamente andò ad abitare, con la nuova compagna, sempre nello stesso caseggiato,dove lei, Cecilia, aveva una casa di proprietà.
Quello fu il periodo in cui ci frequentammo di più, ci vedevamo tutte le settimane, uscivamo insieme, d’estate andavamo al mare insieme, insomma malgrado la differenza di età con lui ma non con lei, si instaurò una forma più di amicizia che di parentela. Anche Rita e Cecilia diventarono molto amiche. Mi ricordo al mare che Rita lo stuzzicava per farlo nuotare bene, in quanto lui si divertiva a imitare il nuoto di Cecilia o di altri che stavano più a fondo che a galla e lei gli diceva di imitare me.
Lui si schermiva dicendo che avrebbe dovuto sforzarsi di nuotare bene e non ne aveva voglia.
Rimangono nei miei ricordi, come esilaranti certe sere dopo cena a casa loro, quando lui, in vena, cominciava a raccontare storie comiche, infilando battute, una dietro l’altra, o ironizzando sui testi delle canzoni degli anni 30 cantandole con lo stile dell’epoca.
Il tutto intramezzato, da discorsi serissimi, sulla politica, sull’attualità, e sull’arte, in particolare cinematografica.
Insomma si parlava un po’ di tutto e quello per me fu un periodo in cui, pur non essendo sempre d’accordo, imparai molto.
Purtroppo, però il lavoro della pubblicità fini, la Ditta per cui lavorava fallì e lui dovette ricominciare a cercarsi il lavoro, riallacciando i contatti con i vecchi amici cineasti.
Riuscì ad ottenere un appalto televisivo per una serie di lezioni d’inglese, che andò avanti per un paio d’anni e poi stette fermo per un po’, fino a che non iniziò una collaborazione con mio zio Marcello che creò un giornalino regionale, settimanale, che fece dirigere a zio Bebo e sul quale un paio di volte scrissi qualche articoletto anche io.
Non c’è da sorprendersi se passava da un lavoro all’altro con una facilità estrema, almeno all’apparenza, lui apparteneva ad una generazione che non si spaventava di niente e che era abituata adattarsi, specialmente quando, magari cambiava completamente il genere, ma sempre di scrivere si trattava.
Il problema era che i due zii vedevano il lavoro e gli affari in modo molto diverso e incompatibile. Zio Marcello nel locale dove si faceva il giornale, si era messo in testa di mettere anche una vendita di ceramiche, zio Bebo non ci pensava proprio a occuparsene.
Fatto sta che il negozio andò male e il giornale pure , in quanto non era certo un’idea nuova e conquistare mercato a chi è già presente da anni nel campo dell’editoria non era cosa facile,specialmente con pochi mezzi economici.
Così fini la collaborazione tra i due zii, per fortuna senza grandi attriti, anche se alcune recriminazioni da parte di entrambi ci sono state, sia pure non palesemente espresse, almeno davanti a me.
Era la fine degli anni 70 , sembravano anni abbastanza sereni anche se sotto, sotto, covavano problemi che ci saremmo ritrovati presto.
All’epoca del giornale, fu assunta come segretaria di redazione una ragazza di nome Nicoletta di meno di trenta anni, che stava a contatto con Bebo tutti i giorni.
Lui aveva circa trentacinque anni più di lei, ma sembrava molto più giovane, era ancora di aspetto fisico molto piacevole e soprattutto era il più grande affabulatore che abbia conosciuto, fascinoso che più non si potrebbe.
Detto questo, è immaginabile cosa sia successo tra di loro, tutto di nascosto, in quanto lui, rimasto vedovo aveva, nel frattempo sposato Cecilia.
I coniugi si volevano bene, in particolare Cecilia amava ancora Bebo, anche se da confidenze fatte a Rita, una relazione extraconiugale l’aveva o l’aveva avuta, sentendosi trascurata sessualmente, senza però incolparne Bebo, ma attribuendo, molto ingenuamente, quella mancanza di attenzioni sessuali, all’età di lui.
Ma ci sono cose che per quanto discreti si possa essere, non si riesce a tenere segrete per sempre e non so bene come, ma Cecilia fini per scoprirli presto.
Ricordo che la cosa insopportabile per lei non era tanto quella di essere stata tradita, quanto che lui lo avesse fatto con una donna molto più giovane di lei e anche carina, pensando di non meritarselo per avergli dimostrato grande amore accettando di restare con un uomo che aveva circa 20 anni di più, oltre a considerarla un affronto al suo orgoglio femminile.
Ed anche in quel caso, ci fu una chiusura brusca e definitiva e credo che, dopo pochi giorni, lui se ne andò da casa e non si videro mai più.
Di conseguenza anche noi la perdemmo di vista non senza un po’ di rammarico, perché ci eravamo affezionati, ma così fu. Lei non ci cercò più e noi neanche. Credo che non sia giusto, ma andò così.
Purtroppo, seguì per la nuova coppia, un periodo duro, con difficoltà sia economiche, che logistiche, visto che furono costretti ad andare ospiti a casa della figlia di lui, Patrizia che, senza entrare troppo in particolari che mi risultano troppo spiacevoli, fece scontare, secondo lei, al padre l’abbandono di oltre 30 anni prima, quando si era separato dalla madre.
Ricordo solo che, in quel periodo, che durò abbastanza, li andammo a trovare una sola volta e la sensazione che ne ricavammo, dovuta al comportamento di Patrizia ed alla sistemazione all’interno della casa che aveva riservato loro, fu veramente deprimente.
Anche con noi non si comportò in modo accogliente.
Non so che fine abbia fatto, perché quella è stata l’ultima volta che l’ho vista ed è mia cugina carnale.
Per fortuna le cose tornarono ad aggiustarsi, perché lui ricominciò a guadagnare e riuscirono a prendere una casetta, magari piccola, ma tutta per loro, nella quale li aiutammo a traslocare.
Poi ottenne,attraverso le conoscenze, di inserirsi in una scuola di cinema ed arti audiovisive con sede a Cagliari,credo finanziata dalla Regione, nella quale iniziò ad insegnare sceneggiatura cinematografica, per finire insegnando un po’ di tutto e riuscendo a far lavorare anche Nicoletta.
Perciò in quel periodo e da allora sino alla fine, mancarono da Roma per molti mesi all’anno e le nostre frequentazioni si diradarono moltissimo. Nel frattempo era morto zio Tigellio, fratello di Nonna Titina, moglie di Nonno Ettore, a oltre 90 anni e aveva lasciato la casa di proprietà a zio Bebo, dove lui si trasferì subito con Nicoletta e devo dire che, a parte qualche problema di salute dovuto all’età che avanzava e al fatto che ancora fumava una quantità notevole di sigarette, quello fu il periodo in cui fu più sereno e privo di preoccupazioni in tutta la sua vita.
Pare che sia proprio vero che quando ti succede questo, è arrivato il momento di morire e infatti così fu.
Ricordo alcune battute dell’ultimo periodo.
- E io dovrei essere sposato con un donna della sua età? Guardando la madre di Nicoletta,che comunque era molto più giovane di lui.
- Quando mi dicono se sono matto a stare con una donna di trentacinque anni più giovane,rispondo che questa è una cosa da chiedere a lei, perché, semmai, è lei che ha un problema.
Morì in Sardegna, lavorando, all’età di 75 anni nel 1988, fu riportato a Roma, tumulato nella tomba di famiglia e così finì l’avventura di un uomo che attraversò un epoca avventurosa, come avventurosa fu tutta la sua vita, un uomo dal quale ho imparato moltissimo, che ho amato anche di più, dal quale credo di essere stato ricambiato almeno nei limiti del suo carattere,che al contrario di quello di mio padre non era tutto sentimento, ma sentimento, sempre comunque filtrato dalla razionalità e dalla capacità di non lasciarsi influenzare dall’emotività.
Un uomo che, con le sue qualità avrebbe potuto diventare uno dei più grandi autori almeno di cinema italiani, in quanto, personalmente, pur avendo assistito a sedute di sceneggiatura con nomi famosissimi del cinema, ed avendo letto un’infinità di sceneggiature, non ho mai visto nessuno riuscire a scrivere cose così importanti con tale facilità, quasi di getto ed essere così sempre pieno di idee nuove.
Il problema è stato che, pur essendo così bravo ad affascinare tutti quelli che aveva intorno e che conosceva bene, non è mai riuscito a fare altrettanto con gli estranei nel campo del lavoro, aveva come una forma di timidezza che nessuno che lo conoscesse superficialmente gli avrebbe mai attribuito, impensabile ed immotivata per uno come lui. Ma ognuno di noi ha un lato nascosto che dal di fuori sembra inspiegabile, ma che una spiegazione deve pur avere, visto che c’è.
Lo ricordo ancora giovane e forte con pochi soldi in tasca, ma sempre impeccabile con la cravatta a farfalla e i baffi che gli stavano molto bene.
Mi torna alla mente lo scherzo che faceva quando si era tagliato i baffi intorno ai sessant’anni e a chiunque notasse quella differenza si fingeva stupito e:
- Chi io? Mai portato i baffi in vita mia.
Una delle cose di cui mi rammarico moltissimo è di non avere niente dei suoi scritti,a parte un vecchissimo articolo di giornale, che poi era un raccontino, pubblicato in gioventù e firmato Arnold Marrow, perché il resto è rimasto tutto nelle mani di Nicoletta, che ho completamente perso di vista e che sinceramente non so quanto possa apprezzarli.
Per fortuna ho perfettamente a mente una delle ultime cose che scrisse, un film, una commedia, che secondo me sarebbe stato splendido, ma di cui non voglio parlare, perché non è stato e non sarà mai fatto e mi auguro che lo abbia portato con sé dovunque sia, per allietare tutta la gente che come al solito gli farà circolo intorno.
A conclusione di questa parte di vita riguardante la mia famiglia paterna, mi resta la certezza di essere stato molto amato dalla maggior parte di loro, ognuno con un suo particolare modo,che ho ricambiato con tutto me stesso.
Ad eccezione di babbo e anche un po’ nonno, non ricordo un abbraccio che non fosse di routine da parte degli altri, compreso Bebo, come se avessero tutti una forma di pudore probabilmente virile, a dimostrare l’affetto anche tangibilmente, perché non posso negare che, almeno zio Bebo, mi abbia dato prova di amarmi in centinaia di occasioni, ma sempre con comportamenti espliciti, più che con quelle che probabilmente ritenevano un po’ tutti “smancerie”.
Non l’’ho detto perché ne abbia sentito la mancanza, visto che, tutto sommato anche io sono un po’ così, anche se con gli anni sto migliorando, ma per inquadrare ancora meglio i personaggi e anche quella che all’epoca era una consuetudine abbastanza diffusa.